di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
05 giu
Dal 2007 sono un educatore dell’Azione
cattolica e passo tutti i sabati in
parrocchia con i ragazzi che, quest’anno,
si preparano a ricevere la Cresima, che è
“il sigillo dello Spirito Santo dato in dono”,
per diventare testimoni di fede e del
Vangelo di Cristo. Un tempo, la tecnica
dell’ascolto funzionava meglio. Oggi
non è facile farsi capire dai più giovani,
soprattutto perché, fin dalla tenera età,
sono bombardati di messaggi che arrivano
dai media e dalla televisione. Molto più
di quanto succedeva quando io ero
bambino (ho quasi ventotto anni). Non
si può generalizzare, perché ci sono anche
bambini più attenti. Quel che vorrei
chiederle è come far sì che i bambini
ascoltino volentieri quello che noi
educatori cerchiamo di trasmettergli, cioè
i valori di fede ma anche quelli morali e
civili. Anche questi sono importanti, perché
senza regole non si prospetta un buon
futuro per la società.
Marco G. - Prato
Oggi, non è facile trasmettere educazione e
valori ai nostri ragazzi. Sono in difficoltà non
solo i genitori, ma tutti coloro che hanno a
cuore la loro educazione, come gli insegnanti
a scuola, i sacerdoti, i catechisti e gli animatori
nelle parrocchie. Ma sono i vecchi mass media,
Tv e radio in particolare, e soprattutto i
nuovi media, da Facebook a Twitter, a influenzare
pesantemente il loro modo di pensare, imponendo
modelli e stili di vita lontani dai valori
e dalle logiche del Vangelo. Oltre
a una rinnovata alleanza tra
famiglia, scuola e parrocchia,
va dedicata un’attenzione particolare
alla Rete e, soprattutto, a
come i nostri ragazzi la usano.
Sono “nativi digitali”, ma la tecnica
non è tutto.
Pubblicato il 05 giugno 2013 - Commenti (0)
30 mag
Mi sono decisa a scriverle dopo aver letto la
lettera di Ivana e Umberto (FC n. 20/2012).
Anch’io sono cresciuta con Famiglia Cristiana.
Confesso che, per ragioni economiche, mi era
balenata l’idea di rinunciarci. Ma mi sono resa
conto che non potrei farlo. La nostra rivista è
l’unico “lusso” che mi permetto. Da tempo
sono abituata a tirare la cinghia. Ma anche nei
momenti di difficoltà, aiuto gli altri. Ora,
purtroppo, ho perso il lavoro. Così anche i miei
figli. Può immaginare come si vive. La pensione
di mio marito è spalmata su quattro famiglie.
Sono orgogliosa di aver dato al mondo quattro
meravigliosi ragazzi. Chi ha rubato il loro
futuro? Mi appello ai politici, prima che sia
troppo tardi: «Salvate i giovani. Rinunciate ai
vostri privilegi». Qualcuno non ci crederà, ma
non ho mai mangiato un’aragosta in vita
mia. Ma non ne sento la mancanza.
Rosa Maria C.
Quanta dignità nella tua lettera, cara Rosa
Maria. Nelle tue condizioni, altri si sarebbero disperati.
Tu, invece, riesci a mantenere una compostezza
e una serenità che non si improvvisano.
Sei come la “donna saggia” della Bibbia.
Pur nelle ristrettezze e nelle difficoltà, sai gestire
bene la casa e i tuoi cari. Soprattutto i figli, per i
quali invochi un lavoro. E un’attenzione particolare
da parte dei politici. Non chiedi privilegi
o favori. Ma quel che è necessario per vivere e
crescere i figli. E ci fai capire, con orgoglio, quel
che molti fingono di non voler intendere. Che la
vera ricchezza non sono i soldi, ma i figli. Vale
per la famiglia. E, ancor più, per la società e il
Paese. Purché le istituzioni ne prendano coscienza.
Con concrete politiche familiari.
Pubblicato il 30 maggio 2012 - Commenti (12)
02 feb
Con dolore ho deciso di non rinnovare l’abbonamento. Ma
non volevo andarmene senza salutarla. Ci siamo fatti ottima
compagnia per molti anni. Famiglia Cristiana arrivava puntuale
nella casa, dove sono cresciuta prima che mi sposassi. Poi mi
sono abbonata io stessa. Non lo faccio per la crisi economica,
ma per una crisi dello spirito. Purtroppo, dopo quattro anni
di matrimonio, non sono arrivati bambini. E, salvo miracoli,
non ne arriveranno. Abbiamo iniziato le pratiche per l’adozione,
ma anche questa via è risultata tortuosa. Ci sono pochi bambini
adottabili e molte coppie desiderose di adottare. La spuntano
quelli con i redditi più alti.
Tornando a noi, col tempo mi sono accorta che, sfogliando la rivista, i miei occhi cadevano sempre sulle
foto di famiglie con bambini. Gli articoli che catturavano il mio
interesse erano quelli sull’educazione dei figli, sul ruolo dei nonni,
sulla scuola, sull’infanzia. Per anni ho pensato: «Queste cose, un
giorno, mi serviranno». Ora, invece, dopo aver ingoiato il boccone
amaro della sterilità, devo salvare me stessa dalla depressione
e tenere in piedi il matrimonio. Purtroppo, continuare a vedere foto
e titoli sui bambini, per me è un pugno allo stomaco. Riconosco che
non sono mancati articoli su adozione o sterilità. E che gli interventi
su attualità, politica italiana ed estera, cultura... sono ottimi. Inutile
dirle che la saluto con la speranza di ritrovarci.
Un’amica
Spero che tu, cara “amica”, lettrice fedele da tanti anni, non ti sia già
allontanata del tutto. Perché alla familiarità con la rivista, con la quale
sei cresciuta, fa contrasto una decisione che mi appare affrettata. E anche
poco logica. A mio parere, non aiuta a vincere la depressione chiudersi
in sé stessi. E tormentarsi su quel bene prezioso dei figli che non sono
arrivati. Ci sono altre forme di maternità e paternità, per sentirsi realizzati.
Capisco il dolore di chi ha mandato giù un “boccone amaro” come
il tuo, ma più che tagliare i ponti (anche con la nostra rivista), occorre
reagire con forza. E aprirsi. La via dell’adozione, pur con tutte le sue
difficoltà, va ancora perseguita. Non è una questione di soldi.
Pubblicato il 02 febbraio 2012 - Commenti (2)
28 nov
Su Famiglia Cristiana
avete parlato di donne
che diventano mamme
a quarant’anni. Fenomeno
diffuso, anche se un parto
da giovani è meglio. Ho
trentacinque anni e non sono
né sposata né fidanzata. Non
per mia scelta. Ma solo perché
non ho trovato la persona
giusta. La mia educazione
religiosa cozza con l’attuale
concezione del matrimonio
e del sesso. Mi accingo a far
parte di quelle mamme
quarantenni, ammesso che
trovi qualcuno dai sani princìpi.
I ragazzi mi propongono solo
convivenze. Hanno voglia di
divertirsi in discoteca, fino a
notte fonda. Ma anche le donne
che ricorrono alla fecondazione
artificiale, non potendo avere
figli, sono egoiste. Soprattutto
se hanno una certa età. Non mi
piace il fenomeno delle mamme
anziane.
Una quarantenne
Oggi, il matrimonio pare in ribasso.
Se ne sminuisce l’importanza.
La società lo banalizza, spesso
lo irride. Si dice che i legami duraturi
non fanno parte della mentalità
corrente. Tutto ha una scadenza.
Anche l’amore. Qualcuno è arrivato
persino a ipotizzare i matrimoni
“a tempo”. Come se i figli si
potessero progettare “a tempo”. E
poi, che se ne fa? C’è tanta irrazionalità.
Ma anche il bisogno di ridare
dignità a scelte fondamentali
nella vita, che richiedono preparazione
e impegno. Non improvvisazione
e leggerezza. Il “colpo di
fulmine” può anche accecare, se
cade su basi fragili e inconsistenti.
Un figlio, infine, al di là dei casi
specifici cui ti riferisci, lo si fa sempre
per amore. Per il suo bene.
Non per colmare un vuoto o appagare
un desiderio.
Pubblicato il 28 novembre 2011 - Commenti (2)
31 ago
Caro don Antonio, sono un suo fedele abbonato. Sposato felicemente (così, almeno, credevo) da trent’anni, ho un bravo figlio, infermiere professionale nel reparto di rianimazione. Nell’agosto dello scorso anno abbiamo appreso che “mio” figlio è omosessuale. Dico “mio” perché da quando mia moglie ha saputo del suo orientamento sessuale, ha alzato un muro anche con me. Ora io mi divido tra mio figlio e il suo compagno e casa nostra. Il problema più grande per mia moglie è stata la vergogna. Era preoccupata di cosa potevano dire parenti e amici. E dove abbiamo sbagliato nel crescerlo. Colpe che, onestamente, io come padre non condivido.
Quando ho invitato mio figlio a parlarne tranquillamente (mia moglie si è
rifiutata a un confronto), mi sono accorto di avere davanti una persona
a me sconosciuta. Ha raccontato di aver avuto certezza del suo
orientamento all’età di sedici anni. Mi ha confidato di non avercelo mai
detto per non darci un dolore. Ma io come ho fatto a non capire e a non
capirlo? Ha parlato delle sue tante sofferenze e derisioni. A volte,
sino a sfiorare il razzismo. E anche della non facile scelta nel trovare
un compagno che, come lui, coltiva sani princìpi morali e cristiani.
Ora mio figlio convive con questo ragazzo, un medico del suo stesso
reparto, che ho conosciuto a casa loro, durante una cena. Mia moglie mi
ha dato del pazzo per aver accettato quell’invito. Inutile dirle che per
me, al contrario di mia moglie, la cosa più importante è sapere mio
figlio sereno e felice.
Posso io giudicare? In casa, però, ora vivo da separato con una moglie
che si è dimenticata di essere anche madre. E tuttora fa la catechista.
Ci parliamo poco. E, per sua volontà, dormiamo anche in camere separate.
Come può un genitore dimenticarsi del proprio figlio? Certo, tutto si
può dire delle coppie omosessuali: che non sono legalizzate, che non
dureranno nel tempo, che danno scandalo… ma dimentichiamo che sono anche
due esseri umani. Tutti siamo figli di Dio. Le coppie eterosessuali
danno sempre il buon esempio? Non aggiungo altro. Forse, in un futuro
non troppo lontano, anch’io andrò a far parte di quelle coppie
“eterosessuali separate”.
Lettera firmata
Un figlio rivela ai genitori di essere omosessuale e di convivere con un compagno. Non l’ha detto prima per non recare dolore. La reazione è di profondo sconcerto. I genitori si dividono. Anzi si oppongono tra loro. Al punto da far prefigurare una possibile separazione. Nel frattempo, si pongono tante domande. Soprattutto il padre. Interrogativi comprensibili ma inconcludenti. Perché non me ne sono accorto? Cosa avrei dovuto fare? Dove abbiamo sbagliato?
In base alle acquisizioni scientifiche finora disponibili, non sappiamo
ancora se l’orientamento omosessuale è attribuibile a fattori biologici o
psicologici. Vale a dire, se è innato o acquisito. Una cosa è certa, ed
è il presupposto da cui partire: l’orientamento o la tendenza
omosessuale non è una libera scelta dell’individuo che, invece, si
scopre tale con profonda difficoltà a farsene una ragione. Quel che
conta è aiutare la persona a riconciliarsi con sé stessa e ad accertarne
il limite, che nulla toglie alla sua dignità. E alla realizzazione
umana e cristiana, se credente.
L’insegnamento del Magistero è
esplicito: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona puramente come
un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa
identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio,
erede della vita eterna» (Congregazione per la dottrina della fede, Cura
pastorale delle persone omosessuali, 16).
La dignità della persona,
omosessuale o eterosessuale che sia, è il punto fondamentale di partenza
per affrontare gli altri problemi. Il primo riguarda il comportamento,
cioè il modo di vivere la tendenza omosessuale. Se, infatti, non si è
responsabili della condizione omosessuale, lo stesso non si può dire
dei comportamenti Sia pure con tutti i condizionamenti interni ed
esterni che esistono.
La biologia e la psicologia potranno, forse,
spiegare l’orientamento omosessuale, ma non possono indicare come
viverla. La morale cattolica indica queste direzioni: accettare e
rispettare la persona; proporre la realizzazione umana e cristiana
attraverso l’accettazione della propria condizione omosessuale; vivere
la relazione in termini di amicizia. Per questo, la Chiesa disapprova la
convivenza omosessuale in base al significato del rapporto sessuale che
è unitivo e procreativo. E, come tale, ha senso solo nel matrimonio. I
conviventi omosessuali (ma anche quelli eterosessuali) non possono
accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma, in quanto
battezzati, sono nella Chiesa e possono partecipare alla vita liturgica e
caritativa della comunità ecclesiale. I genitori che non ne condividono
la decisione di convivere, sono forse obbligati a interrompere la
relazione con il figlio? La rottura dei coniugi tra di loro e con il
figlio aggiunge solo male al male. D’altra parte, mantenere il rapporto
con il figlio non significa approvare e condividere la scelta della
convivenza omosessuale. Occorre mantenere sempre aperto il dialogo e il
confronto. La Chiesa, da parte sua, difende sempre la dignità della
persona. Di ogni persona umana. E denuncia ogni forma di
discriminazione, emarginazione e offesa. Nella società, nella
legislazione, nel lavoro.
Pubblicato il 31 agosto 2011 - Commenti (11)
27 lug
Anni fa, come genitori separati di una bambina,
non abbiamo potuto condividere con lei la gioia
di ricevere la Comunione. Non è stato facile spiegarlo a
mia figlia, ma ci è sembrato giusto farlo. In seguito mi
è stato impedito di fare da padrino al battesimo di un
figlio di amici. Ora, per l’ennesima volta, ho visto che
questa regola, da noi rispettata con dolore, è calpestata
dai potenti. La Chiesa viene sempre a patti con i poteri
forti. Sono un ex salesiano, non sono un mangiapreti,
ma vorrei dimettermi da questa Chiesa, anche se
non so come si faccia. Non ho paura della solitudine.
Col Vangelo mi sento in buona compagnia.
Giorgio
Una Chiesa profetica e meno diplomatica sta sempre
dalla parte dei più deboli. È la Chiesa che si mette a servizio
degli ultimi, col “grembiule”. E non si serve dei favori
dei potenti. È la Chiesa del coraggio, che a chiunque sa dire
con forza: «Non ti è lecito». È la Chiesa della verità, anche
quando comporta un prezzo da pagare. Una Chiesa,
comunque, sempre libera da condizionamenti. Non ricattata
da nessuno. Per poter annunciare, con più coerenza,
il Vangelo di salvezza. Una Chiesa maestra di umanità,
vicina soprattutto a chi ha il “cuore ferito” come te.
Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (20)
27 lug
L’accorato appello di papa
Benedetto XVI a favore
delle famiglie in difficoltà
è l’unica risposta efficace alla
crisi che stiamo vivendo sulla nostra pelle. E che grava, in particolare,
sui più poveri. Spero che l’appello del Papa sia ben accolto da tutti,
per superare la grave crisi che strozza i bilanci della famiglia. Le misure
adottate dai vari Governi in questi anni sono stati veri palliativi, senza
risultati soddisfacenti. I vari incentivi alla rottamazione, a cominciare
dalle autovetture, non hanno sostenuto le famiglie, ma incentivato
i guadagni delle aziende. Capire che la famiglia, prima cellula
della società, deve essere sostenuta e premiata sarebbe già un grosso
risultato politico. Mi auguro che possa nascere questa
consapevolezza sociale, che sappia mettere sempre la famiglia al centro
delle scelte sociali e politiche.
Ilario M.
Forse, a parole, i politici capiscono l’importanza della famiglia per la vita
del Paese. Non hanno il coraggio di attuare, con decisione, una vera politica
che la sostenga nell’importante ruolo di crescita ed educazione dei figli. Che
sono il bene e il futuro del Paese. Alle tante promesse, non fanno mai seguire
uno straccio di provvedimento serio e duraturo, che sia diverso dalle “gocce”
dei bonus o una tantum. Forse, perché la famiglia assorbe tutto e non alza
la voce, non per chiedere l’elemosina, ma a difesa dei propri diritti. Come altri
sanno fare, quando sono toccati nei loro interessi. Una sana pressione delle
famiglie sulla politica è auspicabile. Non si può abusare della sua capacità
di ammortizzatore sociale. E, al tempo stesso, sbeffeggiarla.
Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (1)
14 giu
Le scrivo per condividere con lei un pensiero che mi gira per la testa da diversi mesi. E per capire se, grazie alla rivista, lo si potrebbe mettere in atto. Lavoro come educatore e credo che, ormai, siamo in molti a condividere i notevoli danni che la televisione continua a fare.
Nonostante tutti i risvolti positivi che questo strumento potrebbe avere. La provocazione consisterebbe in questo: lanciare una raccolta di firme da indirizzare al Papa e chiedergli di “scomunicare” la televisione. La mia è una provocazione per richiamare l’attenzione sull’uso scorretto che se ne fa. Penso, in particolare, ai danni nei confronti dei bambini. Che ne pensa?
Emilio C. - (Sondrio)
Se vuoi liberarti la mente, abbandona subito questa tua provocazione. Non è il caso di scomodare il Papa e la scomunica. O di chiedere il nostro supporto per raccogliere firme. E poi, non è certo la Tv che è da scomunicare. Come mezzo, in sé, essa è neutra. Può fare del bene o del male: tutto dipende dall'uso che ne facciamo. Come tu stesso riconosci. Sia da parte di coloro che la programmano, sia da parte di noi utenti che, spesso, la "consumiamo" in modo passivo e alienante. In positivo, varrebbe la pena che ci educassimo a farne un buon uso. In modo critico e intelligente. Intanto non accendendola per noia, come rumore di sottofondo, perché non si sa che cos'altro fare. O per sentire una "voce", un "suono", che ci faccia compagnia. Come rimedio alla solitudine o a un vuoto di interessi. E a tavola, quando la famiglia è riunita, togliamole il ruolo di "ospite fisso". Invitiamola solo quando vogliamo noi. A vantaggio di due parole da scambiare con i propri figli.
Pubblicato il 14 giugno 2011 - Commenti (0)
30 mag
Ho quarant’otto anni. Sono
lavoratrice a tempo pieno
e ho due figli. A fine settimana,
arrivo molto stanca e cerco
di occupare il poco tempo
disponibile nella cura della casa
e dei figli. Come tante donne.
Mia madre, al sabato mattina,
si presenta sempre da me per
essere accompagnata al cimitero
per andare a trovare mio padre.
E questo, ormai, dura da dieci
anni. Premetto che l’ho sempre
accompagnata con tanto piacere,
ma ultimamente mi è diventato
un peso. Mi sento obbligata.
O quasi. E non c’è nessun altro
che la vuole accompagnare,
perché ognuno ha i suoi impegni.
Mia madre vuole andare,
tassativamente, ogni settimana.
E se non l’accompagno mi sento
in colpa.
Franca S.
Visitare i propri cari al cimitero è
cosa sacrosanta. È gesto che esprime
comunione di affetti e rafforza
non solo il ricordo, ma anche gli insegnamenti
che ci hanno lasciato.
Lo faccio anch’io coi miei genitori,
sepolti nel piccolo cimitero del paese
in cui sono nato, in Sicilia.
Ogni
occasione è buona, anche per pochi
minuti, per un saluto, una preghiera
e un fiore da deporre sulla loro
tomba. Per questo comprendo tua
mamma, che mantiene nel tempo
un legame di amore, più forte della
morte. Un po’ meno la capisco,
quando è così ossessiva con i vivi,
cioè con te. Senza alcun rispetto per
i tuoi impegni di lavoro e di famiglia.
Approfittando della tua arrendevolezza,
rispetto al rifiuto degli
altri familiari. Così da trasformare
un “piacere” in peso e obbligo. La
disponibilità non è schiavitù. Non
avere, quindi, sensi di colpa a farle
comprendere che sei sempre disponibile,
compatibilmente ai tuoi impegni.
Anche tuo padre capirà!
Pubblicato il 30 maggio 2011 - Commenti (0)
04 gen
Sono abbonato da tempo, genitore di
una ragazza adolescente di ventun anni.
Ho avuto un’educazione cristiana. E sono
vissuto in una famiglia patriarcale d’origine
contadina, dove i princìpi, il rispetto per
gli altri, la parola data erano regole di vita. Le
scrivo perché ho problemi con mia figlia. Anzi,
veri e propri scontri su tanti temi della vita.
Lei vuole essere totalmente libera, perché è
maggiorenne, rientrare la notte a qualunque
ora, farsi il piercing. Di andare a Messa non
vuole sentirne parlare.
Ammonimenti, rimproveri e arrabbiature
non sono serviti a nulla. La mia lotta, forse,
non è contro mia figlia. Ma contro questa società
che “obbliga” i ragazzi ad andare a ballare
solo dopo mezzanotte, perché prima devono
ubriacarsi nei pub. E anche contro Tv e
Internet, che propongono programmi e immagini
che non sono il meglio per l’educazione
cristiana. Perché meravigliarsi se i nostri figli
non rispettano più nessuna autorità, dai genitori
ai professori? Dopo programmi come Amici
o Grande Fratello abbiamo trasformato anche
un grave fatto di cronaca, la morte di Sarah,
in un reality televisivo. Un vero e proprio
“tritacarne mediatico”.
Mi piacerebbe che la Chiesa facesse sentire
la sua voce contro chi sta “rovinando” i nostri
figli. Mi creda, oggi, è difficile educare i ragazzi
con sani princìpi morali. Da soli, non ce la
facciamo più. Non credo a quelli che mi dicono
che basta essere d’esempio ai figli. I tempi
attuali sono molto diversi dal passato. Noi
lottavamo per degli ideali, religiosi e politici.
Avevamo più entusiasmo. E, soprattutto, non
c’erano i mezzi di informazione che tanto influiscono
sulle nuove generazioni. Le chiedo
un consiglio: come diventare il buon genitore
che sognavo d’essere? Complimenti per la
nuova impostazione della rivista. E, soprattutto,
per le nuove rubriche sui bambini e gli
adolescenti.
Lucio C.
Come educare i figli? Problema antico, in
salsa sempre nuova. Forse, caro Lucio,
nemmeno il passato era così roseo, come
lo descrivi. Né i figli altrettanto docili. I contrasti
sono sempre esistiti, anche quando era meno
permesso, rispetto ai nostri giorni, esprimere
dissensi. Un particolare mi ha colpito nella
tua lettera di padre sfiduciato che non riesce a
modellare i comportamenti della figlia come
vorrebbe. O come ritiene che sia giusto. Tu parli
di lei come di un’adolescente. E poi precisi
che ha ventun anni. Forse, trascuri che a
quell’età un figlio o una figlia sono adulti.
Certo, un tempo a ventun anni non si era solo
maggiorenni secondo l’anagrafe: i figli maschi
si guadagnavano già da vivere e le femmine
erano sposate e madri di più figli.
I cambiamenti sociali più recenti sono andati
in due direzioni opposte: la maggiore età è
stata abbassata a diciott’anni (e c’è chi spinge
per abbassarla ancora per concedere l’autorizzazione
a guidare), mentre l’indipendenza effettiva
dalla famiglia è stata procrastinata.
Non solo non ci si sposa più a vent’anni, ma si
è in un processo di formazione che richiederà
ancora anni per essere completato. Per non parlare
della precarietà del lavoro.
Per questo, forse, ti è venuto spontaneo considerare
tua figlia ventenne ancora come un’adolescente.
E come tale, pensare di controllarla in
tutto: dagli orari di uscita e di rientro alla partecipazione
a Messa. Ma se questa è un’impresa
difficile con un adolescente “vero”, immagina
quanto più lo sia con un giovane adulto
che, di fatto, vive in casa, ma mentalmente
e affettivamente gravita altrove.
L’altro punto interessante della tua lettera
(vale per tanti altri genitori) è la sensazione di
dover combattere contro un nemico inafferrabile,
onnipresente e irriducibile. Che è il modello
di vita che ci propone la cultura edonistica e
consumistica dei nostri giorni. I giovani ne sono
facile preda. Assieme al latte materno assorbono
questo modello di “videocrazia”. Dove
quel che conta è apparire e avere successo. A
qualsiasi prezzo. Anche vendendo il corpo e
l’anima. Alcuni stili di vita odierni sono
quanto di più anticristiano e antievangelico
ci sia. Oggi, il principale sforzo educativo consiste
nello sfuggire alla corruzione ambientale.
Che, ormai, ci circonda da ogni parte.
Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
29 ott
Mi sono sposato a settembre 2008, a ottobre 2009 sono
diventato papà, a febbraio 2010 mia moglie è scappata di
casa con nostro figlio, da luglio 2010 siamo legalmente separati.
Non avevamo problemi economici. Anzi, lavoravamo entrambi,
io come informatico libero professionista, lei come impiegata
amministrativa in un’azienda. Io avevo orari molto flessibili,
per cui cercavo di seguire famiglia e lavoro in base alle necessità
del momento. Lei pretendeva che, di sera e a fine settimana, fossi
totalmente a sua disposizione. Vivevamo in un appartamento
di proprietà di suo padre, per cui i miei suoceri si sentivano
in dovere di dirci come arredarlo e come usarlo. Mia moglie si dava
molto da fare per il suo lavoro, guadagnava più di me, ma dopo
il matrimonio non ha dato un euro per le necessità della famiglia.
Lei è sempre stata sottomessa ai suoi genitori, prima e dopo il
matrimonio. Quasi del tutto plagiata. Adesso non mi parla più.
Manda avanti genitori e avvocati. Vorrei che trovassimo un
accordo pacifico, ma lei si rifiuta a qualsiasi incontro. Il parroco
s’è offerto di fare da
mediatore, ma lei non ne
vuole sapere. Preghi per
me. E, soprattutto, per mio
figlio.
Michele
Prego per tutti voi, per questa
tua famiglia ridotta a
pezzi, nella speranza che i
cocci si possano comporre
con qualche mediazione, di
cui avete tanto bisogno. La
tua esperienza, come altre già pubblicate, confermano quanto sia
sempre più necessaria una seria preparazione al matrimonio. Che
non può fondarsi sull’improvviso colpo di fulmine o su una breve e superficiale
conoscenza. Quel che più colpisce in storie simili è che, subito
dopo il matrimonio, si scopre di avere accanto una persona totalmente
diversa da quella che si era frequentata. O meglio “sognata”.
Che fine ha fatto il cosiddetto fidanzamento? Chi ne parla più?
Pubblicato il 29 ottobre 2010 - Commenti (0)
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