di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
05 giu
Dal 2007 sono un educatore dell’Azione
cattolica e passo tutti i sabati in
parrocchia con i ragazzi che, quest’anno,
si preparano a ricevere la Cresima, che è
“il sigillo dello Spirito Santo dato in dono”,
per diventare testimoni di fede e del
Vangelo di Cristo. Un tempo, la tecnica
dell’ascolto funzionava meglio. Oggi
non è facile farsi capire dai più giovani,
soprattutto perché, fin dalla tenera età,
sono bombardati di messaggi che arrivano
dai media e dalla televisione. Molto più
di quanto succedeva quando io ero
bambino (ho quasi ventotto anni). Non
si può generalizzare, perché ci sono anche
bambini più attenti. Quel che vorrei
chiederle è come far sì che i bambini
ascoltino volentieri quello che noi
educatori cerchiamo di trasmettergli, cioè
i valori di fede ma anche quelli morali e
civili. Anche questi sono importanti, perché
senza regole non si prospetta un buon
futuro per la società.
Marco G. - Prato
Oggi, non è facile trasmettere educazione e
valori ai nostri ragazzi. Sono in difficoltà non
solo i genitori, ma tutti coloro che hanno a
cuore la loro educazione, come gli insegnanti
a scuola, i sacerdoti, i catechisti e gli animatori
nelle parrocchie. Ma sono i vecchi mass media,
Tv e radio in particolare, e soprattutto i
nuovi media, da Facebook a Twitter, a influenzare
pesantemente il loro modo di pensare, imponendo
modelli e stili di vita lontani dai valori
e dalle logiche del Vangelo. Oltre
a una rinnovata alleanza tra
famiglia, scuola e parrocchia,
va dedicata un’attenzione particolare
alla Rete e, soprattutto, a
come i nostri ragazzi la usano.
Sono “nativi digitali”, ma la tecnica
non è tutto.
Pubblicato il 05 giugno 2013 - Commenti (0)
12 apr
Le voglio raccontare una storia a lieto fine, che mi
piacerebbe fosse letta dal signore di Padova, che
le ha scritto (FC n. 13/2012). Nostro figlio (unico),
a diciannove anni ci ha comunicato che non avrebbe
più frequentato la Messa e i sacramenti. Noi abbiamo
rispettato la sua scelta, come ha scritto anche lei,
pensando che sarebbe stato controproducente
obbligarlo. Era un ragazzo normale: studio, amicizie,
uscite il sabato sera. Non ci ha mai dato problemi.
Anche se capivo che era insoddisfatto. Per la Giornata
mondiale della gioventù, a Roma nel 2000, abbiamo
ospitato due ragazzi olandesi. Lui s’era preso il compito
di accompagnarli. Così ha partecipato ad alcune Messe.
Dopo quell’evento, ci è sembrato che tutto fosse
tornato come prima. Così non è stato. Il Signore stava
lavorando per la sua rinascita. E dopo tanto travaglio,
l’esito è stato sorprendente. Non solo mio figlio
è tornato alla fede, ma è entrato in seminario.
E l’anno prossimo sarà ordinato sacerdote.
A.B.
Caro don Antonio, la sua risposta al lettore
di Padova preoccupato per i suoi figli, che non
partecipano più alla Messa, mi ha lasciato perplesso.
Lei ha scritto che la fede quando diventa obbligo è
controproducente. Mi chiedo: se anche la scuola fosse
una libera scelta, crede che i miei figli vi andrebbero?
I miei genitori mi hanno insegnato a “santificare
le feste”. Ai miei tempi, la domenica non ci mettevamo
a tavola se non eravamo andati a Messa. Sarà stata una
costrizione, ma oggi sono grato ai miei genitori. Anche
il mio parroco dice sempre di non costringere i figli ad
andare a Messa. Ma il risultato è che in chiesa non ci va
più nessuno. Io credo che un genitore dovrebbe dare
ai figli quello che ritiene utile per loro.
CESARE
Le vie del Signore non sono le nostre. E sono
anche infinite. Egli lavora nel silenzio e non ha
fretta. Lascia che le decisioni maturino al momento
giusto. E, soprattutto, senza costrizioni.
Non può esserci merito dove a prevalere è l’obbligo
e non una libera scelta. Così è per la crescita
e la maturazione della fede dei nostri ragazzi.
La prima preoccupazione non dovrebbe essere
quella di riempire, comunque, le chiese. Ma
formare cristiani adulti, maturi e consapevoli,
che sappiano dare ragione della propria fede.
La partecipazione alla celebrazione eucaristica,
la domenica, seguirà poi come un bisogno, una
necessità di cui non possiamo fare a meno. Per
attingere dall’Eucaristia quella forza e alimento
necessari per essere veri testimoni nella società.
Purtroppo, oggi, i cristiani sembrano dissociati
tra quanto vivono nelle liturgie e gli stili di
vita pubblica, poco evangelici.
Pubblicato il 12 aprile 2012 - Commenti (16)
31 ago
Caro don Antonio, sono un suo fedele abbonato. Sposato felicemente (così, almeno, credevo) da trent’anni, ho un bravo figlio, infermiere professionale nel reparto di rianimazione. Nell’agosto dello scorso anno abbiamo appreso che “mio” figlio è omosessuale. Dico “mio” perché da quando mia moglie ha saputo del suo orientamento sessuale, ha alzato un muro anche con me. Ora io mi divido tra mio figlio e il suo compagno e casa nostra. Il problema più grande per mia moglie è stata la vergogna. Era preoccupata di cosa potevano dire parenti e amici. E dove abbiamo sbagliato nel crescerlo. Colpe che, onestamente, io come padre non condivido.
Quando ho invitato mio figlio a parlarne tranquillamente (mia moglie si è
rifiutata a un confronto), mi sono accorto di avere davanti una persona
a me sconosciuta. Ha raccontato di aver avuto certezza del suo
orientamento all’età di sedici anni. Mi ha confidato di non avercelo mai
detto per non darci un dolore. Ma io come ho fatto a non capire e a non
capirlo? Ha parlato delle sue tante sofferenze e derisioni. A volte,
sino a sfiorare il razzismo. E anche della non facile scelta nel trovare
un compagno che, come lui, coltiva sani princìpi morali e cristiani.
Ora mio figlio convive con questo ragazzo, un medico del suo stesso
reparto, che ho conosciuto a casa loro, durante una cena. Mia moglie mi
ha dato del pazzo per aver accettato quell’invito. Inutile dirle che per
me, al contrario di mia moglie, la cosa più importante è sapere mio
figlio sereno e felice.
Posso io giudicare? In casa, però, ora vivo da separato con una moglie
che si è dimenticata di essere anche madre. E tuttora fa la catechista.
Ci parliamo poco. E, per sua volontà, dormiamo anche in camere separate.
Come può un genitore dimenticarsi del proprio figlio? Certo, tutto si
può dire delle coppie omosessuali: che non sono legalizzate, che non
dureranno nel tempo, che danno scandalo… ma dimentichiamo che sono anche
due esseri umani. Tutti siamo figli di Dio. Le coppie eterosessuali
danno sempre il buon esempio? Non aggiungo altro. Forse, in un futuro
non troppo lontano, anch’io andrò a far parte di quelle coppie
“eterosessuali separate”.
Lettera firmata
Un figlio rivela ai genitori di essere omosessuale e di convivere con un compagno. Non l’ha detto prima per non recare dolore. La reazione è di profondo sconcerto. I genitori si dividono. Anzi si oppongono tra loro. Al punto da far prefigurare una possibile separazione. Nel frattempo, si pongono tante domande. Soprattutto il padre. Interrogativi comprensibili ma inconcludenti. Perché non me ne sono accorto? Cosa avrei dovuto fare? Dove abbiamo sbagliato?
In base alle acquisizioni scientifiche finora disponibili, non sappiamo
ancora se l’orientamento omosessuale è attribuibile a fattori biologici o
psicologici. Vale a dire, se è innato o acquisito. Una cosa è certa, ed
è il presupposto da cui partire: l’orientamento o la tendenza
omosessuale non è una libera scelta dell’individuo che, invece, si
scopre tale con profonda difficoltà a farsene una ragione. Quel che
conta è aiutare la persona a riconciliarsi con sé stessa e ad accertarne
il limite, che nulla toglie alla sua dignità. E alla realizzazione
umana e cristiana, se credente.
L’insegnamento del Magistero è
esplicito: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona puramente come
un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa
identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio,
erede della vita eterna» (Congregazione per la dottrina della fede, Cura
pastorale delle persone omosessuali, 16).
La dignità della persona,
omosessuale o eterosessuale che sia, è il punto fondamentale di partenza
per affrontare gli altri problemi. Il primo riguarda il comportamento,
cioè il modo di vivere la tendenza omosessuale. Se, infatti, non si è
responsabili della condizione omosessuale, lo stesso non si può dire
dei comportamenti Sia pure con tutti i condizionamenti interni ed
esterni che esistono.
La biologia e la psicologia potranno, forse,
spiegare l’orientamento omosessuale, ma non possono indicare come
viverla. La morale cattolica indica queste direzioni: accettare e
rispettare la persona; proporre la realizzazione umana e cristiana
attraverso l’accettazione della propria condizione omosessuale; vivere
la relazione in termini di amicizia. Per questo, la Chiesa disapprova la
convivenza omosessuale in base al significato del rapporto sessuale che
è unitivo e procreativo. E, come tale, ha senso solo nel matrimonio. I
conviventi omosessuali (ma anche quelli eterosessuali) non possono
accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma, in quanto
battezzati, sono nella Chiesa e possono partecipare alla vita liturgica e
caritativa della comunità ecclesiale. I genitori che non ne condividono
la decisione di convivere, sono forse obbligati a interrompere la
relazione con il figlio? La rottura dei coniugi tra di loro e con il
figlio aggiunge solo male al male. D’altra parte, mantenere il rapporto
con il figlio non significa approvare e condividere la scelta della
convivenza omosessuale. Occorre mantenere sempre aperto il dialogo e il
confronto. La Chiesa, da parte sua, difende sempre la dignità della
persona. Di ogni persona umana. E denuncia ogni forma di
discriminazione, emarginazione e offesa. Nella società, nella
legislazione, nel lavoro.
Pubblicato il 31 agosto 2011 - Commenti (11)
27 lug
Anni fa, come genitori separati di una bambina,
non abbiamo potuto condividere con lei la gioia
di ricevere la Comunione. Non è stato facile spiegarlo a
mia figlia, ma ci è sembrato giusto farlo. In seguito mi
è stato impedito di fare da padrino al battesimo di un
figlio di amici. Ora, per l’ennesima volta, ho visto che
questa regola, da noi rispettata con dolore, è calpestata
dai potenti. La Chiesa viene sempre a patti con i poteri
forti. Sono un ex salesiano, non sono un mangiapreti,
ma vorrei dimettermi da questa Chiesa, anche se
non so come si faccia. Non ho paura della solitudine.
Col Vangelo mi sento in buona compagnia.
Giorgio
Una Chiesa profetica e meno diplomatica sta sempre
dalla parte dei più deboli. È la Chiesa che si mette a servizio
degli ultimi, col “grembiule”. E non si serve dei favori
dei potenti. È la Chiesa del coraggio, che a chiunque sa dire
con forza: «Non ti è lecito». È la Chiesa della verità, anche
quando comporta un prezzo da pagare. Una Chiesa,
comunque, sempre libera da condizionamenti. Non ricattata
da nessuno. Per poter annunciare, con più coerenza,
il Vangelo di salvezza. Una Chiesa maestra di umanità,
vicina soprattutto a chi ha il “cuore ferito” come te.
Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (20)
27 lug
L’accorato appello di papa
Benedetto XVI a favore
delle famiglie in difficoltà
è l’unica risposta efficace alla
crisi che stiamo vivendo sulla nostra pelle. E che grava, in particolare,
sui più poveri. Spero che l’appello del Papa sia ben accolto da tutti,
per superare la grave crisi che strozza i bilanci della famiglia. Le misure
adottate dai vari Governi in questi anni sono stati veri palliativi, senza
risultati soddisfacenti. I vari incentivi alla rottamazione, a cominciare
dalle autovetture, non hanno sostenuto le famiglie, ma incentivato
i guadagni delle aziende. Capire che la famiglia, prima cellula
della società, deve essere sostenuta e premiata sarebbe già un grosso
risultato politico. Mi auguro che possa nascere questa
consapevolezza sociale, che sappia mettere sempre la famiglia al centro
delle scelte sociali e politiche.
Ilario M.
Forse, a parole, i politici capiscono l’importanza della famiglia per la vita
del Paese. Non hanno il coraggio di attuare, con decisione, una vera politica
che la sostenga nell’importante ruolo di crescita ed educazione dei figli. Che
sono il bene e il futuro del Paese. Alle tante promesse, non fanno mai seguire
uno straccio di provvedimento serio e duraturo, che sia diverso dalle “gocce”
dei bonus o una tantum. Forse, perché la famiglia assorbe tutto e non alza
la voce, non per chiedere l’elemosina, ma a difesa dei propri diritti. Come altri
sanno fare, quando sono toccati nei loro interessi. Una sana pressione delle
famiglie sulla politica è auspicabile. Non si può abusare della sua capacità
di ammortizzatore sociale. E, al tempo stesso, sbeffeggiarla.
Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (1)
13 lug
Mi chiamo Debora e frequento la terza media. A volte, in parrocchia, mi capita di leggere Famiglia Cristiana. Sfogliando il giornale e sollecitata dal parroco, con cui spesso mi confido, mi son decisa a scriverle di un problema che, oggi, molti ragazzi della mia età si trovano spesso ad affrontare.
Mi riferisco alla solitudine. Una sensazione che provi magari quando qualcuno vuole ostacolare la tua felicità. Causata da un tradimento, da una parola di offesa, da uno sguardo che ti rimanda al punto di partenza, nella tua corsa alla felicità. Un punto in cui ci si ritrova soli, nonostante attorno a te ci sia tanta gente. Nessuno, però, è disposto ad aiutarti, a sprecare del tempo con te. Pronto ad afferrarti prima che tu caschi, a offrirti un sorriso pur di vederti felice. Sei solo, sommerso dai tuoi pensieri, e non sai come venirne fuori. Hai solo paura. E non trovi risposta alle tue domande.
Ma, in fondo, la solitudine può avere uno sbocco positivo. Dopo aver
sofferto e pianto inutilmente, alla ricerca di qualcuno che ti ascolti,
quando hai perso ogni speranza, ecco che trovi un appoggio sicuro in
Colui che sa dare una risposta ai tuoi interrogativi. E sa prenderti per
mano. Quella mano che, anche quando non te ne accorgi, è sempre lì a
sostenerti. È la mano sicura di Dio.
Debora
La tua lettera, cara Debora, è un’invocazione e, al tempo stesso, una denuncia contro noi adulti, perché non sappiamo più prestarvi ascolto. E non “perdiamo” il nostro tempo per stare con voi, a condividere i vostri progetti, sogni e delusioni. La fiducia in Dio è necessaria, attenzione solo che non si trasformi in un rifugio, in un estraniamento dal mondo. Buon per te che hai un prete che ha tempo di accogliere le tue confidenze. Perché la fretta, gli impegni e il correre da un posto all’altro, ha fatto trascurare anche a noi sacerdoti quella grande dote che è la capacità di ascolto.
Pubblicato il 13 luglio 2011 - Commenti (3)
04 gen
Sono abbonato da tempo, genitore di
una ragazza adolescente di ventun anni.
Ho avuto un’educazione cristiana. E sono
vissuto in una famiglia patriarcale d’origine
contadina, dove i princìpi, il rispetto per
gli altri, la parola data erano regole di vita. Le
scrivo perché ho problemi con mia figlia. Anzi,
veri e propri scontri su tanti temi della vita.
Lei vuole essere totalmente libera, perché è
maggiorenne, rientrare la notte a qualunque
ora, farsi il piercing. Di andare a Messa non
vuole sentirne parlare.
Ammonimenti, rimproveri e arrabbiature
non sono serviti a nulla. La mia lotta, forse,
non è contro mia figlia. Ma contro questa società
che “obbliga” i ragazzi ad andare a ballare
solo dopo mezzanotte, perché prima devono
ubriacarsi nei pub. E anche contro Tv e
Internet, che propongono programmi e immagini
che non sono il meglio per l’educazione
cristiana. Perché meravigliarsi se i nostri figli
non rispettano più nessuna autorità, dai genitori
ai professori? Dopo programmi come Amici
o Grande Fratello abbiamo trasformato anche
un grave fatto di cronaca, la morte di Sarah,
in un reality televisivo. Un vero e proprio
“tritacarne mediatico”.
Mi piacerebbe che la Chiesa facesse sentire
la sua voce contro chi sta “rovinando” i nostri
figli. Mi creda, oggi, è difficile educare i ragazzi
con sani princìpi morali. Da soli, non ce la
facciamo più. Non credo a quelli che mi dicono
che basta essere d’esempio ai figli. I tempi
attuali sono molto diversi dal passato. Noi
lottavamo per degli ideali, religiosi e politici.
Avevamo più entusiasmo. E, soprattutto, non
c’erano i mezzi di informazione che tanto influiscono
sulle nuove generazioni. Le chiedo
un consiglio: come diventare il buon genitore
che sognavo d’essere? Complimenti per la
nuova impostazione della rivista. E, soprattutto,
per le nuove rubriche sui bambini e gli
adolescenti.
Lucio C.
Come educare i figli? Problema antico, in
salsa sempre nuova. Forse, caro Lucio,
nemmeno il passato era così roseo, come
lo descrivi. Né i figli altrettanto docili. I contrasti
sono sempre esistiti, anche quando era meno
permesso, rispetto ai nostri giorni, esprimere
dissensi. Un particolare mi ha colpito nella
tua lettera di padre sfiduciato che non riesce a
modellare i comportamenti della figlia come
vorrebbe. O come ritiene che sia giusto. Tu parli
di lei come di un’adolescente. E poi precisi
che ha ventun anni. Forse, trascuri che a
quell’età un figlio o una figlia sono adulti.
Certo, un tempo a ventun anni non si era solo
maggiorenni secondo l’anagrafe: i figli maschi
si guadagnavano già da vivere e le femmine
erano sposate e madri di più figli.
I cambiamenti sociali più recenti sono andati
in due direzioni opposte: la maggiore età è
stata abbassata a diciott’anni (e c’è chi spinge
per abbassarla ancora per concedere l’autorizzazione
a guidare), mentre l’indipendenza effettiva
dalla famiglia è stata procrastinata.
Non solo non ci si sposa più a vent’anni, ma si
è in un processo di formazione che richiederà
ancora anni per essere completato. Per non parlare
della precarietà del lavoro.
Per questo, forse, ti è venuto spontaneo considerare
tua figlia ventenne ancora come un’adolescente.
E come tale, pensare di controllarla in
tutto: dagli orari di uscita e di rientro alla partecipazione
a Messa. Ma se questa è un’impresa
difficile con un adolescente “vero”, immagina
quanto più lo sia con un giovane adulto
che, di fatto, vive in casa, ma mentalmente
e affettivamente gravita altrove.
L’altro punto interessante della tua lettera
(vale per tanti altri genitori) è la sensazione di
dover combattere contro un nemico inafferrabile,
onnipresente e irriducibile. Che è il modello
di vita che ci propone la cultura edonistica e
consumistica dei nostri giorni. I giovani ne sono
facile preda. Assieme al latte materno assorbono
questo modello di “videocrazia”. Dove
quel che conta è apparire e avere successo. A
qualsiasi prezzo. Anche vendendo il corpo e
l’anima. Alcuni stili di vita odierni sono
quanto di più anticristiano e antievangelico
ci sia. Oggi, il principale sforzo educativo consiste
nello sfuggire alla corruzione ambientale.
Che, ormai, ci circonda da ogni parte.
Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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