di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
08 ago
La lettera di Maurizio G., che attribuisce all’onestà la sua
condizione di disoccupato (FC n. 49/2011), mi ha convinta
a scriverle e far risentire la mia voce in “famiglia”. Oggi,
la coerenza al Vangelo non paga. Glielo dice una persona che
ne ha viste di tutti i colori per mantenere integra la sua identità
morale. Non mi considero una santa né una martire. Voglio solo
vivere gli ideali che mi sono stati trasmessi in famiglia, ma anche
a scuola e in parrocchia. Sono una persona come tante. Sono
fuggita dalla Sicilia per non dover attendere le calende greche
per essere immessa in ruolo a scuola. Sono andata via, mio
malgrado, dal Sud. Ma ne è valsa la pena. Nonostante le difficoltà
incontrate.
Se al Sud c’è una mentalità mafiosa, il Nord non è immune
da forme di razzismo. Mi sono inserita nella cittadina in cui lavoro, ma
non sempre mi è permesso di “far sentire la mia voce”. Mi è successo
anche in parrocchia. Sono stata costretta a dimettermi da catechista
perché stavo acquisendo troppo “potere”. A scuola, poi, devo stare
attenta a ciò che dico. Non puoi neanche ammonire un ragazzo che
bestemmia. Non è facile essere cristiani e vivere con coerenza. Molto
più semplice è mostrarsi qualunquisti e opportunisti. Ma io non voglio
compromessi con la mia coscienza.
Una ragazza del Sud
Vivere con coerenza il Vangelo non è stato mai facile. Oggi, ancor di
più. La nostra società, sempre più laica e individualista, si è allontanata
dai princìpi evangelici. Mira al successo, da ottenere a ogni costo. I valori
cui punta sono bellezza, sesso e soldi da fare subito e tanti. Anche qui, non
importa con quali mezzi e vie da percorrere. La dignità della persona è svalutata
e calpestata. Non ci si pensa due volte, se serve a raggiungere lo scopo,
a mettere in vendita tutto: dalla lealtà al corpo. Il Vangelo, invece, ci invita
ad andare controcorrente. È scomodo, se vissuto e testimoniato nella
sua interezza. Senza sconti o facili addomesticamenti. La verità, spesso,
ha un prezzo da pagare. Ma se non fosse così, vorrebbe dire che i cristiani
sono diventati scipiti. Non sono più segno di distinzione. E anche di contraddizione.
Tanto meno sono sale del mondo. O lievito che fa fermentare
la pasta. La coerenza etica è una grande virtù. Soprattutto perché ci fa evitare
di scendere a facili compromessi con la nostra coscienza.
Pubblicato il 08 agosto 2012 - Commenti (1)
14 mag
Troppo spesso, soprattutto
qui nel Nordest, assistiamo
a suicidi per la crisi. Qualcosa
di inquietante. La vergogna,
le difficoltà, i creditori che
ti assalgono, le tasse sempre
più alte, le notti insonni...
tutto sembra andare in
frantumi. C’è chi perde il
controllo e non trova altra
uscita se non nella morte. Ma
io temo che ci sia anche una
mancanza di fede in Dio e di
fiducia nella famiglia. Chi si
toglie la vita crede davvero
di aiutare così i propri figli?
Un tempo si sentiva parlare
di fede, speranza e carità.
I nostri padri hanno
affrontato tante difficoltà, ma
ce l’hanno fatta. Con dignità.
Forse, oggi, dovremmo avere
uno stile di vita più sobrio
e solidale. E ricordarci di chi
non riesce a mettere insieme
pranzo e cena.
Annamaria
Estromettere Dio dal mondo
non rende il mondo migliore.
Una società senza valori è destinata
a sfaldarsi. Senza solide
radici, la pianta è soggetta a
soccombere alle intemperie. Come
avviene, oggi, per la grave
crisi che s’è abbattuta su cittadini
e famiglie. Chi non regge al
peso o alla vergogna di una vita
di lavoro che sfuma nell’impossibilità
di una ripresa o di
un rilancio, sceglie vie senza ritorno.
E non per colpe personali,
ma per le difficoltà economiche
che li strozzano. La crisi ci
sta cambiando. Nel bene e nel
male. Sarà un’opportunità se
sapremo rivedere i nostri stili di
vita. Verso una maggiore sobrietà
e solidarietà. Le difficoltà
si superano non isolandosi o
rinchiudendosi in sé stessi, ma
cercando assieme come uscire
dal tunnel verso la luce. Purtroppo,
oggi, stanno venendo meno
tante reti di protezione.
Pubblicato il 14 maggio 2012 - Commenti (0)
12 apr
Le voglio raccontare una storia a lieto fine, che mi
piacerebbe fosse letta dal signore di Padova, che
le ha scritto (FC n. 13/2012). Nostro figlio (unico),
a diciannove anni ci ha comunicato che non avrebbe
più frequentato la Messa e i sacramenti. Noi abbiamo
rispettato la sua scelta, come ha scritto anche lei,
pensando che sarebbe stato controproducente
obbligarlo. Era un ragazzo normale: studio, amicizie,
uscite il sabato sera. Non ci ha mai dato problemi.
Anche se capivo che era insoddisfatto. Per la Giornata
mondiale della gioventù, a Roma nel 2000, abbiamo
ospitato due ragazzi olandesi. Lui s’era preso il compito
di accompagnarli. Così ha partecipato ad alcune Messe.
Dopo quell’evento, ci è sembrato che tutto fosse
tornato come prima. Così non è stato. Il Signore stava
lavorando per la sua rinascita. E dopo tanto travaglio,
l’esito è stato sorprendente. Non solo mio figlio
è tornato alla fede, ma è entrato in seminario.
E l’anno prossimo sarà ordinato sacerdote.
A.B.
Caro don Antonio, la sua risposta al lettore
di Padova preoccupato per i suoi figli, che non
partecipano più alla Messa, mi ha lasciato perplesso.
Lei ha scritto che la fede quando diventa obbligo è
controproducente. Mi chiedo: se anche la scuola fosse
una libera scelta, crede che i miei figli vi andrebbero?
I miei genitori mi hanno insegnato a “santificare
le feste”. Ai miei tempi, la domenica non ci mettevamo
a tavola se non eravamo andati a Messa. Sarà stata una
costrizione, ma oggi sono grato ai miei genitori. Anche
il mio parroco dice sempre di non costringere i figli ad
andare a Messa. Ma il risultato è che in chiesa non ci va
più nessuno. Io credo che un genitore dovrebbe dare
ai figli quello che ritiene utile per loro.
CESARE
Le vie del Signore non sono le nostre. E sono
anche infinite. Egli lavora nel silenzio e non ha
fretta. Lascia che le decisioni maturino al momento
giusto. E, soprattutto, senza costrizioni.
Non può esserci merito dove a prevalere è l’obbligo
e non una libera scelta. Così è per la crescita
e la maturazione della fede dei nostri ragazzi.
La prima preoccupazione non dovrebbe essere
quella di riempire, comunque, le chiese. Ma
formare cristiani adulti, maturi e consapevoli,
che sappiano dare ragione della propria fede.
La partecipazione alla celebrazione eucaristica,
la domenica, seguirà poi come un bisogno, una
necessità di cui non possiamo fare a meno. Per
attingere dall’Eucaristia quella forza e alimento
necessari per essere veri testimoni nella società.
Purtroppo, oggi, i cristiani sembrano dissociati
tra quanto vivono nelle liturgie e gli stili di
vita pubblica, poco evangelici.
Pubblicato il 12 aprile 2012 - Commenti (16)
09 gen
Noto che anche lei, negli ultimi tempi, usa volentieri il termine “cattolici adulti”. Mi sembra che Prodi sia stato il primo a utilizzarlo e voleva significare la sua indipendenza dal Magistero della Chiesa. Soprattutto sui temi etici. Leggo, ora, che su Repubblica, in riferimento ai cattolici del Governo Monti ci si è augurato che siano “cattolici adulti”. E che non ascoltino il cardinale Bagnasco quando parla di difesa dei valori definiti essenziali, irrinunciabili. Sarebbe utile capire che cosa significano queste espressioni.
Fabiano B.
Dovrebbe essere l’auspicio di tutti che i cattolici fossero davvero adulti. Ne guadagnerebbe la comunità ecclesiale e la stessa società. Ma adulti nel senso giusto. Non per polemica o in contrapposizione alle indicazioni dottrinali del Magistero. Non è questa la strada giusta. Ma adulti in quanto persone che hanno raggiunto una fede matura, dopo un serio cammino di crescita spirituale e religiosa. Con una fede convinta, non di semplice facciata. Come avviene, generalmente, nel Paese, dove quasi il novanta per cento delle persone si dicono cattolici. In realtà, lo sono solo all’anagrafe battesimale. Perché il Vangelo non ispira più i loro stili di vita e le scelte di ogni giorno.
Pubblicato il 09 gennaio 2012 - Commenti (3)
11 ott
L’esperienza di una malattia in famiglia ti insegna
a ridimensionare tante cose. Soprattutto il modo
di vivere. Ma c’è un’altra cosa che considero sempre
con stupore: il silenzio di Dio. Quando entro
in chiesa, guardo il crocifisso e mi sento immersa
in un silenzio avvolgente. Fuori c’è chi si affanna,
piange, gioisce, lavora, si dispera o è in pace con sé
stesso. Non so cosa sia la fede. E non ho mai chiesto
un miracolo. Ho capito che ero impotente di fronte
alla malattia di una persona amata. Mi sono
affidata a Dio. Lui è sempre lì, vicino a chi soffre.
Io ho creduto alla promessa della vita eterna.
E le promesse vanno mantenute. Quel che doniamo
ci verrà restituito in abbondanza.
Simona
La malattia, spesso, è il momento della verità. Dove
quel che conta è ciò che sei. Tutto il resto, dai soldi ai
successi, svanisce come neve al sole. La vera ricchezza
è quella interiore, che non ha prezzo. Tu dici di non sapere
cos’è la fede, ma ci dai una lezione di come viverla.
Anche quando è messa duramente alla prova. Come
l’esperienza della “notte buia” di tanti mistici e anche
di Madre Teresa di Calcutta. La luce arriva dall’abbandono
totale in chi abbiamo posto la fiducia e nel
donarsi agli altri. «C’è più gioia nel dare che nel ricevere
»: parole del Signore che non trovano, però, il dovuto
consenso in una società sempre più egoista.
Pubblicato il 11 ottobre 2011 - Commenti (0)
06 lug
Siamo abbonati da anni.
Vogliamo ringraziarla per
il bel servizio sui trent’anni
di Medjugorje. Per me
e mia moglie l’incontro,
abbastanza casuale, con
Medjugorje ha significato
una rivoluzione nella nostra
vita. Giustamente avete
titolato il vostro servizio:
“Trent’anni di conversioni”.
Perché questo è il frutto
più evidente. Anche per chi,
come noi, era già cattolico
praticante, ma ha avuto
la piacevole sorpresa
di riscoprire l’attualità
del messaggio evangelico
e la gioia di viverlo nel
quotidiano. Sono stati
rivitalizzanti i nostri
momenti di preghiera
nella comunità locale.
Consigliamo ad altri di non
limitarsi a farsi raccontare
queste esperienze di
conversione, ma andare
a Medjugorje e vedere di
persona.
Fernanda e Adolfo
Pubblico la vostra testimonianza
e l’invito che fate ad altri
di recarsi a Medjugorje, perché
al di là del giudizio che darà
la Chiesa sulla veridicità
delle apparizioni, sono tantissime
le persone che si sono
convertite o hanno rafforzato
la loro fede. Nel servizio sui
trent’anni di Medjugorje abbiamo
dato la parola a due
noti teologi. Uno ha espresso
le ragioni che lo portano a credere,
perché dai frutti si riconosce
che l’albero è buono. L’altro,
partendo dalle divisioni
dei vescovi locali, mette in
guardia dal non ridurre la preghiera
e la conversione a
un’esperienza individuale.
Pubblicato il 06 luglio 2011 - Commenti (7)
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