Seguo con sincero apprezzamento il vostro
impegno a favore della famiglia,
dell’educazione, dei giovani e delle classi
più disagiate. Leggendo gli articoli e le sue risposte
alle lettere, mi assale un senso di indignazione
contro tutti quelli che stanno nelle
“stanze dei bottoni”. Come possiamo sopportare
una classe dirigente che saccheggia, di
continuo, la “diligenza dello Stato”, a proprio
esclusivo vantaggio? Le risorse sono della comunità,
da usare per il bene di tutti.
So che non è giusto generalizzare. Tra tanti
sanguisughe, che si vendono al miglior offerente,
c’è anche chi merita rispetto per onestà
e responsabilità. Però, la maggior parte
dei politici dovrebbe andare a casa. O, meglio,
dovremmo cacciarli via.
I cittadini devono
riappropriarsi del diritto di eleggere i propri
candidati, di cui sono stati espropriati. Tra
la gente cresce la frustrazione. Ma anche il rancore.
Si sentono ingannati e presi in giro. Ormai,
siamo la favola del mondo.
Trovo che sia un’infamia il divario tra gli stipendi
da nababbi dei politici e quelli da fame
dei cittadini. Lo stesso vale per le pensioni
d’oro e chi, invece, percepisce appena cinquecento
euro al mese. O per chi matura una pensione
dopo cinque anni di legislatura e percepisce
più pensioni. I nostri parlamentari lavorano
poche ore a settimana, quando va bene.
E tanti “assenteisti ben remunerati” non si
fanno nemmeno vedere.
Che dire, poi, dei
rimborsi milionari a partiti che non sono più
in Parlamento? O dello spropositato costo delle
auto blu e dei voli di Stato?
Ministri e politici vanno spesso in Tv per dirci
che la situazione del Paese è grave e che bisogna
tirare la cinghia. Ma perché non ci danno
l’esempio per primi? Noi cittadini abbiamo
il diritto di sapere come spendono il denaro
della comunità. Se i politici non si guadagnano
l’alto stipendio che percepiscono, per
me sono come degli evasori.
Mi creda, ho preferito mandare a lei questa
“lettera aperta” perché so che lei sta lottando
per migliorare l’Italia e ridare dignità a questo
nostro povero Paese. Dei politici non mi fido
più.
Padre Gino
I politici e i pubblici amministratori, per definizione,
sono chiamati a servire la comunità e
a promuovere il bene comune, cioè di tutti.
Troppi segnali, purtroppo, manifestano il contrario.
A prevalere sono gli interessi di parte. Ci
si serve della politica per arricchirsi e per “sistemarsi”.
L’abuso e lo spreco dei denari pubblici
è sotto gli occhi di tutti. Ogni giorno, una
“leggina” a garantire i politici dei benefici e
privilegi acquisiti. Anche in tempi di crisi. Alla
fine, costi e disagi si scaricano sui cittadini.
Ultimo esempio, in ordine di tempo, l’ulteriore
tassa sulla benzina per finanziare la “cultura”,
mentre si sprecano più di trecento milioni di euro
per non volere accorpare il voto dei referendum
a quello delle amministrative.
Tra le molte facce dello spreco del denaro
pubblico, ci sono gli alti stipendi dei nostri politici.
A ogni livello. Sono cifre del tutto sproporzionate
rispetto ad altre categorie di lavoratori.
Non basta, a giustificazione, riferirsi alle leggi
vigenti e concludere che è tutto legale. Perché
non è affatto scontato che queste leggi siano
giuste. E, infatti, non lo sono. Uno stipendio alto
può essere considerato giusto (e quindi giusta
anche la legge che lo regola) se corrisponde
a due presupposti. Primo, se garantisce la possibilità
di svolgere un buon lavoro che ha bisogno
di risorse economiche per aggiornamento,
riqualificazione, disponibilità di necessari strumenti;
secondo, se si pagano adeguate tasse in
base al reddito e ai consumi.
L’alta remunerazione deve ritornare alla società
sotto forma di una prestazione efficiente.
Politici e amministratori devono domandarsi
se, all’alto stipendio, corrisponde un alto
beneficio per la comunità in termini di servizio.
L’abuso del denaro pubblico offende la giustizia
e la coscienza morale dei cittadini che pagano
le tasse e vivono con lo stretto necessario.
E, i più fortunati, con un sobrio superfluo.
È necessario risvegliare una forte coscienza
critica per cambiare abitudini consolidate, che
passano per normali. I cittadini, oltre all’informazione
sulle entrate fiscali, hanno il diritto di
conoscere come viene speso il denaro pubblico.
Se per le necessità della comunità civile, oppure
per logiche corporative, elettorali e clientelari.
Non basta esigere un’equa legislazione fiscale,
va anche controllata la gestione e la destinazione
dei soldi. Il contribuente non firma una cambiale
in bianco, come se si trattasse di una donazione
incondizionata allo Stato.
In regime democratico, i cittadini hanno due
modi per contrastare distorsioni e prevaricazioni
della pubblica amministrazione: la denuncia
pubblica e il voto. Anche i mezzi di comunicazione,
se davvero fossero a servizio del bene
comune, dovrebbero essere “coscienza
critica” per inchiodare, di fronte all’opinione
pubblica, chi abusa del potere delle istituzioni
per interessi personali e di parte.
È, infine, urgente riformare la legge elettorale
(la famosa “porcata”: una vergogna della nostra
democrazia), per restituire ai cittadini il diritto
di scegliersi i parlamentari che meritano fiducia.
Ai quali, poi, chiedere conto del loro operato,
perché eletti dalla gente. E non nominati
dalle segreterie dei partiti.
Pubblicato il 29 marzo 2011 - Commenti (58)