«Eppure, il vento soffia ancora....»,
intonava una bella canzone ecologista
di Pierangelo Bertoli. In effetti,
sta soffiando e forte sia nella Chiesa che
nella politica italiana. È un vento francescano,
che porta gesti e parole semplici e
profonde, orientate alla sobrietà, alla
credibilità e al rispetto del creato. Un
vento che ci auguriamo continui a soffiare
perché il cambiamento si consolidi ed
entri nelle coscienze. Un cambiamento
che parla anche il linguaggio della tenerezza
che è, prevalentemente, declinato
al femminile. Di qui l’auspicio che questo
vento arrivi fino all’elezione di una
donna al Quirinale, che abbia a cuore la
libertà, lo Stato di diritto e la tutela dei
diritti umani e civili, specie di chi è più
fragile e vulnerabile.
Manlio R.
I gesti e le parole di papa Francesco ci
stanno mettendo in crisi, perché ci richiamano
il Vangelo da vivere nella
sua radicalità. Quel Vangelo che, se anche
l’abbiamo letto, non ispira certo i nostri
comportamenti e stili di vita, che sono
mondani e poco solidali. Forse, ne abbiamo
scolorito le pagine più impegnative,
quelle che ci scomodano e ci “comandano”
di amare il prossimo e anche il nemico.
È questo il comandamento fondamentale
del cristianesimo. È da ciò che si riconoscono
i seguaci di Gesù.
Una Chiesa povera
e per i poveri non è un accessorio per
la nostra fede, ma ne è il cuore.
Ce ne dà ampia testimonianza papa
Francesco, con il suo stile umile e semplice.
Per la prima volta, quest’anno, la Messa
del Giovedì Santo è stata celebrata in
un carcere minorile. E papa Francesco si è
cinto il grembiule per lavare i piedi a dodici
ragazzi, tra cui due donne e alcuni musulmani.
Al ragazzo che, con spontaneità,
gli ha chiesto «perché sei venuto qui?»,
papa Francesco ha risposto che è «qualcosa
che è venuto dal cuore». «Sono venuto»,
ha detto, dove sono quelli che mi aiuteranno
a essere umile e servitore come deve essere
un vescovo. Le cose del cuore non hanno
spiegazione, vengono solo».
E, a braccio, nell’omelia ha spiegato come
«chi è più in alto deve essere al servizio
degli altri». E che dobbiamo aiutarci l’uno
con l’altro, perché così ci faremo del bene.
A queste parole, ci verrebbe da dire: «Chi
ha orecchie per intendere, intenda». O come
ha scritto Aldo Cazzullo sul Corriere
della sera, parafrasando il famoso titolo
di un libro di Hemingway: «Quando suonano
le campane di San Pietro, non dobbiamo
chiederci se suonano per il Segretario
di Stato o per la Curia o per lo Ior; esse
suonano per noi». Oggi, più che mai, abbiamo
bisogno di una “Chiesa del grembiule”:
quella di papa Francesco.
Pubblicato il 04 aprile 2013 - Commenti (3)