di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
18 apr
Ancora una volta,
l’indignazione esplode
prepotente di fronte
allo spettacolo di un partito che,
da quando esiste, ha sempre
sparato contro “Roma ladrona”.
E ora anche “farabutta”. Ma chi si
spacciava per “puro” ha finito per
usare i denari dei contribuenti per
pagare di tutto: case, diplomi,
lauree, auto di lusso, scuole
private... Come rimediare a tutto
ciò? Non basta affermare che «chi
ha sbagliato paga». O che «non
guarderemo in faccia nessuno».
E via scherzando! Ormai la politica
ha toccato il fondo. Non ha più
un briciolo di etica. Mi auguro che
tanti elettori leghisti provino la
mia stessa indignazione. Contro
questa metastasi, ci vuole un vero
sussulto da parte di tutti gli onesti.
Prima che la “barca Italia” vada
davvero a fondo.
Mario M.
I primi a indignarsi dovrebbero essere i
militanti leghisti, che ci hanno messo l’anima
e il cuore, nonché tanti sacrifici e soldi,
per sostenere l’ideale padano, oggi così
miseramente deturpato. La loro “fede” è
stata ferita. Tradita come non mai. Né basta
qualche apprezzabile e scontato buon
proposito a raddrizzare la barca, che fa
acqua da tutte le parti. Se la pulizia va fatta,
per essere credibile, dev’essere totale. E
non selettiva. Sia pure per salvare una
“trota” di papà. Più che vantarsi ora di
qualche “passo indietro” da cariche istituzionali
e politiche, per riaffermare la differenza
dagli altri partiti, bisognava resistere
e opporsi prima a qualche candidatura
“familista”. In Regione e con lauto stipendio,
senza alcun merito. Anzi! Ma dov’erano
allora coloro che oggi si apprestano a
prendere le redini del partito? Troppo facile
scalciare un leone ferito!
Pubblicato il 18 aprile 2012 - Commenti (15)
17 apr
Sono un giovane insegnante di
Lettere e Religione nella Scuola
secondaria. Dopo l’intervento di
Celentano al Festival di Sanremo, i miei
ragazzi mi hanno chiesto come mai
la rivista si chiami Famiglia Cristiana.
La maggior parte di loro pensano
che sia un settimanale solo per preti
e suore. O, comunque, per “addetti
ai lavori”. Inoltre, sostengono che,
in un contesto pluralista, l’aggettivo
“cristiana” può sembrare elitario.
Ho cercato di dire loro, secondo
l’intuizione del beato Giacomo
Alberione, che Famiglia Cristiana «non
deve parlare solo di religione, ma di
tutto cristianamente». E che, quindi, c’è
posto per tutto!
Sandro P. - Vicenza
Grazie, caro Sandro, per la risposta corretta
data ai tuoi studenti. Sì, Famiglia Cristiana
«parla di tutto cristianamente». O,
in altre parole, non parla solo di religione,
ma di «tutto quello che è vero, nobile, giusto,
puro, amabile, onorato, quello che è
virtù e merita lode», per usare le parole di
san Paolo (Fil 4, 8-9). Forse, come Gesù disse
ai primi apostoli «venite e vedete», si potrebbe
dire ai tuoi studenti «provate e giudicate
». Solo così si supera la non conoscenza
o il pregiudizio che la nostra sia
una rivista per preti, suore e “addetti ai lavori”.
E che parla solo di religione. Fin dalla
sua origine, nel 1931, Famiglia Cristiana
si è rivolta alle famiglie e a ogni componente
della famiglia. Per tutti ha una parola
interessante. Basta sfogliarla. Quanto
all’aggettivo “cristiana” che campeggia
nella testata, accanto al sostantivo “famiglia”,
esso rappresenta la nostra “bandiera”.
È la nostra identità. Il modo con cui
leggiamo i fatti della vita e della cronaca
quotidiana. In una società pluralista ci distingue,
ma non ci restringe gli orizzonti.
È, semmai, un surplus di responsabilità,
tra tanta stampa frivola. Tra i nostri lettori
non ci sono solo cattolici e praticanti. Ci
leggono tantissimi non credenti. E ci apprezzano
per la coerenza e la credibilità.
Ma anche per la nostra autonomia e libertà
di giudizio, nella ricerca sincera della verità.
Senza pregiudizi.
Pubblicato il 17 aprile 2012 - Commenti (6)
12 apr
Le voglio raccontare una storia a lieto fine, che mi
piacerebbe fosse letta dal signore di Padova, che
le ha scritto (FC n. 13/2012). Nostro figlio (unico),
a diciannove anni ci ha comunicato che non avrebbe
più frequentato la Messa e i sacramenti. Noi abbiamo
rispettato la sua scelta, come ha scritto anche lei,
pensando che sarebbe stato controproducente
obbligarlo. Era un ragazzo normale: studio, amicizie,
uscite il sabato sera. Non ci ha mai dato problemi.
Anche se capivo che era insoddisfatto. Per la Giornata
mondiale della gioventù, a Roma nel 2000, abbiamo
ospitato due ragazzi olandesi. Lui s’era preso il compito
di accompagnarli. Così ha partecipato ad alcune Messe.
Dopo quell’evento, ci è sembrato che tutto fosse
tornato come prima. Così non è stato. Il Signore stava
lavorando per la sua rinascita. E dopo tanto travaglio,
l’esito è stato sorprendente. Non solo mio figlio
è tornato alla fede, ma è entrato in seminario.
E l’anno prossimo sarà ordinato sacerdote.
A.B.
Caro don Antonio, la sua risposta al lettore
di Padova preoccupato per i suoi figli, che non
partecipano più alla Messa, mi ha lasciato perplesso.
Lei ha scritto che la fede quando diventa obbligo è
controproducente. Mi chiedo: se anche la scuola fosse
una libera scelta, crede che i miei figli vi andrebbero?
I miei genitori mi hanno insegnato a “santificare
le feste”. Ai miei tempi, la domenica non ci mettevamo
a tavola se non eravamo andati a Messa. Sarà stata una
costrizione, ma oggi sono grato ai miei genitori. Anche
il mio parroco dice sempre di non costringere i figli ad
andare a Messa. Ma il risultato è che in chiesa non ci va
più nessuno. Io credo che un genitore dovrebbe dare
ai figli quello che ritiene utile per loro.
CESARE
Le vie del Signore non sono le nostre. E sono
anche infinite. Egli lavora nel silenzio e non ha
fretta. Lascia che le decisioni maturino al momento
giusto. E, soprattutto, senza costrizioni.
Non può esserci merito dove a prevalere è l’obbligo
e non una libera scelta. Così è per la crescita
e la maturazione della fede dei nostri ragazzi.
La prima preoccupazione non dovrebbe essere
quella di riempire, comunque, le chiese. Ma
formare cristiani adulti, maturi e consapevoli,
che sappiano dare ragione della propria fede.
La partecipazione alla celebrazione eucaristica,
la domenica, seguirà poi come un bisogno, una
necessità di cui non possiamo fare a meno. Per
attingere dall’Eucaristia quella forza e alimento
necessari per essere veri testimoni nella società.
Purtroppo, oggi, i cristiani sembrano dissociati
tra quanto vivono nelle liturgie e gli stili di
vita pubblica, poco evangelici.
Pubblicato il 12 aprile 2012 - Commenti (16)
04 apr
Carissimo don Antonio, grazie per quanto
ha scritto nell’editoriale “Tagli alle spese
militari, è solo fumo negli occhi” (FC n.
13/2012). Il suo coraggio nel dire la verità,
mi rende orgogliosa di appartenere a questa
Chiesa, con persone come lei. È importante
ricordare ai politici che è ingiusto spendere
tanti soldi per le armi. Il Paese ha altre
priorità. Come responsabile di una
Confraternita di Misericordia, mi
complimento con Famiglia Cristiana anche
per la difesa del servizio civile, ultima
e dimenticata dimensione formativa per
i nostri giovani. Ricordo, con soddisfazione,
le sue rimostranze verso quel ministro “delle
dimissioni annunciate”, per non aver mosso
un dito a favore di una società più solidale.
Anche oggi, con altri responsabili politici, lei
non le manda a dire. Le sue critiche, precise
e circoscritte, le fanno onore come cristiano.
Non molli e non ci abbandoni. Continui
a non farci vergognare di essere cristiani.
Vogliamo camminare sempre a testa alta.
Giancarlo G. - Arezzo
Quando un Paese, come l’Italia, è alle prese
con una gravissima crisi economica, che getta
nella disperazione numerose famiglie con figli
e le fasce più deboli della popolazione, è immorale
spendere miliardi di euro per le spese militari.
Ci sono altre priorità da rispettare. In cima
non ci sono i costosissimi bombardieri F35, di
cui possiamo fare tranquillamente a meno. Soprattutto
in una rinnovata concezione della difesa
dello Stato. E destinare quei soldi alle politiche
del Welfare, su cui sono in atto tagli da vera
“macelleria sociale”. Per risollevare le sorti
del Paese, le famiglie non possono essere spremute
come limoni. Ormai non resta che cavargli
il sangue. Cosa possono dare di più, a secco
come sono, senza lavoro e soldi per il cibo quotidiano?
La scure va calata, anche pesantemente,
là dove si sperperano tante risorse pubbliche.
Sull’acquisto delle armi e sull’elefantiaca
burocrazia statale. Ma anche sui partiti e i loro
cospicui rimborsi, soldi che andrebbero restituiti
ai cittadini. Se ancora sussiste nel Paese un
briciolo di decenza e dignità.
Pubblicato il 04 aprile 2012 - Commenti (14)
03 apr
Ho sedici anni e frequento la seconda
liceo presso una scuola statale. Prima
frequentavo un istituto paritario cattolico
che, come tanti altri, ha dovuto cessare
la sua attività. Quando sono arrivato nella
nuova scuola, assieme ad altri studenti,
non siamo stati accolti nel migliore
dei modi. Ci prendevano in giro perché
provenivamo da una scuola religiosa.
Ci siamo scontrati anche con gli insegnanti,
che non accettavano i nostri metodi
di lavoro. Abbiamo constatato molta
superficialità. Svolgono il loro ruolo non
come una missione. Sembra che lo facciano
solo per lo stipendio. L’insegnante deve
avere carisma, deve essere un’autorità
morale, saper andare al di là delle nozioni.
Oggi si elogia tanto la scuola statale,
ma non ha niente di più di quella cattolica.
Anzi, spesso sembra avere smarrito il suo
“scopo”.
Tommaso M.
Non giova a nessuno la contrapposizione
tra scuola statale e paritaria. Entrambe svolgono
un ruolo pubblico. E come tali devono essere
considerate. E anche sostenute dallo Stato.
Considerare private le scuole cattoliche è
concezione errata, perché il loro servizio è pubblico.
Spero si possa arrivare, quanto prima, a
riconoscere questo dato. Anche per evitare che
molte altre scuole cattoliche, come la tua, caro
Tommaso, siano costrette a chiudere per impossibilità
di sostenere i costi. I genitori devono
poter avere la libertà di scegliere la migliore
offerta formativa, senza dover pagare una
seconda volta se mandano i figli in una scuola
paritaria. Il nodo «senza oneri per lo Stato»,
scritto nella Costituzione, si scioglierebbe se solo
si badasse al bene degli studenti e delle famiglie
e non alle ideologie. Quanto agli insegnanti,
essi devono essere consci della responsabilità
che hanno e del delicato compito che
svolgono nella società. Nelle loro mani si formano
i cittadini del domani.
Pubblicato il 03 aprile 2012 - Commenti (1)
28 mar
Sto riflettendo sulla nostra povera Italia, e mi
chiedo come abbia potuto degenerare a tal
punto da essere peggiore di tanti Paesi europei,
che non hanno la nostra cultura cattolica. Da
noi non c’è legalità, l’evasione fiscale è diffusa,
l’individualismo è esasperato, manca il senso
dello Stato e di appartenenza alla società, la
furbizia è assurta a virtù, non esiste la certezza
della pena, la volgarità è ostentata, la corruzione
è diventata sistema e il Parlamento è spesso una
gazzarra. Non è piacevole dipingere un quadro
a tinte così fosche di questo “disgraziato” Paese.
Purtroppo, è la realtà che abbiamo sotto gli
occhi. Possiamo solo esibire primati negativi,
che ci screditano nel mondo. Perché tutto ciò
avviene in un Paese cattolico per eccellenza
come l’Italia?
Renato M. - Padova
È impressionante questa lista di mali italiani, caro
Renato. Ma è anche difficile contraddirti o presentare
un quadro con tinte meno fosche. Perché tutto
ciò avviene in un Paese così cattolico come l’Italia?
Forse, dovremmo chiederci se cattolici lo siamo davvero.
Non solo di nome, ma anche di fatto. All’anagrafe
battesimale l’Italia è cattolica quasi al cento
per cento. Ma quanto la fede è solo un fatto di tradizione
e quanto, invece, incide sui nostri comportamenti
quotidiani? Lo stile di vita cui è improntata la
società spesso fa a pugni con i princìpi evangelici e
la dottrina sociale della Chiesa. Oggi, non conta più
l’essere, ma il possedere, l’apparire, il successo e i
soldi. Ai credenti spetta il compito d’essere “lievito”
e “sale” per dare un sapore cristiano alla vita e alla
società. Non solo a parole, ma soprattutto con la testimonianza
e l’impegno civile.
Pubblicato il 28 marzo 2012 - Commenti (10)
27 mar
Il motivo di questo mio scritto è un fatto, semplice
e straordinario, di cui sono stata testimone. Nella
nostra parrocchia c’è una signora, Giovanna, che ha
impegnato tutta la sua vita tra catechesi ai bambini
e aiuti ai nostri missionari attraverso varie iniziative,
come mercatini e “cene povere”. Lei ha sempre un
occhio di riguardo per chi è in difficoltà. Una persona
capace di sorprenderti con piccoli regali. L’8 marzo
scorso, durante un incontro missionario, si è
presentata con le mimose per tutte le donne presenti.
Mimose che aveva raccolto dalla pianta del suo
giardino. Ci ha raccontato, commossa, di aver ricevuto
anche lei un rametto di mimosa per la festa della
donna. Gliel’ha offerto un ragazzo albanese, che
Giovanna era andata a trovare in ospedale. Ci ha
confessato che era la prima volta, nella sua vita, che
riceveva una mimosa. Non le va più via dalla mente
l’immagine di quel ragazzo che, in ospedale, le va
incontro con un gran sorriso e il rametto di mimosa in
mano.
Marilena B. - Trento
Piccola e umile storia da “fioretti” di san Francesco.
Leggendola mi è venuto in mente anche il passo evangelico
della guarigione dei dieci lebbrosi da parte di Gesù (Luca
17,11-19). Solo uno dei miracolati torna indietro per
ringraziare il Signore. Era uno straniero, un samaritano.
Qualcosa di simile è capitato a Giovanna. In tanti anni di
dedizione alla parrocchia, nessuno s’è mai ricordato di
lei, che invece ha sempre avuto un pensiero e un dono per
tutti. Morale della favola: la bontà non fa rumore, passa
quasi inosservata. Teniamo gli occhi aperti per saperla apprezzare.
E apriamo il cuore perché, ogni tanto, sappiamo
anche ricambiare i doni che riceviamo.
Pubblicato il 27 marzo 2012 - Commenti (0)
22 mar
Sono davvero addolorato di doverle scrivere che, quest’anno,
non posso rinnovare l’abbonamento a Famiglia Cristiana.
Ho quarantatré anni e la rivista è in casa nostra da quando sono
bambino. Della rivista si sono innamorati anche mia moglie
e i miei tre figli, nonché i suoceri che non la conoscevano. Per
me è stata sempre un punto di riferimento importante. Mi piace
perché non parla solo di Dio, come vorrebbe Celentano, ma aiuta
a capire come vivere la fede nella concretezza di ogni giorno.
Purtroppo, sono stato colpito anch’io dalla crisi. Non ho più
lo stipendio e devo fare qualche taglio. Continuerò a leggervi
“a scrocco” da mia madre. Spero, quanto prima, di rifare
l’abbonamento. Continuate così, la rivista è bellissima. I miei
figli la portano a scuola, quando tratta certi temi.
Roberto
La crisi economica morde e si fa sentire nei bilanci delle famiglie.
Come te, caro Roberto, tutti quelli che hanno perso il lavoro sono costretti
a far quadrare i conti. Tagliano il superfluo e anche il necessario.
Noi, come rivista, non riteniamo di essere annoverati nel superfluo
dei costi, ma tra le cose necessarie che aiutano a crescere nella vita.
Per questo, da tempo, abbiamo costituito un fondo alimentato
dagli stessi lettori per aiutare quelli in difficoltà a pagare il rinnovo.
Da lì ho attinto i soldi per garantire a te, caro Roberto, a tua moglie
e ai tuoi ragazzi l’abbonamento a Famiglia Cristiana. Per una piacevole
e “istruttiva” lettura, almeno per un anno ancora.
Pubblicato il 22 marzo 2012 - Commenti (6)
20 mar
La Belen che, l’altro giorno, portava un vistoso crocifisso nero, è la
stessa che, qualche settimana fa, dal palco dell’Ariston mostrava
al pubblico la famosa “farfallina”! Possibile che un gesto così
irriverente non abbia fatto storcere il naso a qualche spettatore
cattolico o presunto tale? Siamo così addormentati da non reagire
più neanche quando viene offeso un simbolo della nostra religione?
Se fosse successo con i musulmani, apriti cielo! I soliti benpensanti
avrebbero gridato allo scandalo, alla guerra di religione. Nel nostro
caso, invece, tutto normale. Come se
non fosse successo nulla. Ci ridiamo
e scherziamo su. Lo spettacolo va
avanti. Purtroppo, sono i nostri
valori che vanno indietro.
Andrea G.
Quanto ai valori, i passi indietro
che stiamo facendo sono da gigante.
Il degrado etico non risparmia niente
e nessuno. La stessa religione viene
spesso manipolata. Trasformata, talora,
in oggetto d’ornamento e bellezza,
come appunto il crocifisso al collo
di attrici e modelle. Sarebbe meglio,
invece, testimoniare con la vita quel
che il crocifisso rappresenta. Cioè
quell’amore universale che non esclude o discrimina nessuno. Anzi,
dà la preferenza ai poveri e agli esclusi. E ci “comanda” di amare il
prossimo come noi stessi, chiunque sia. Questo è quel che conta. Il resto
è solo strumentalizzazione ed esibizionismo. A scapito dei simboli
più significativi della nostra religione.
Pubblicato il 20 marzo 2012 - Commenti (2)
14 mar
Come può l’Europa condannare l’Italia per violazione del diritto internazionale verso gli immigrati, quando non ci dà l’aiuto necessario per far fronte a questa ondata di stranieri? A noi è chiesto di aprire le porte a tanti poveri disgraziati, ma l’Europa se ne disinteressa. Noi stavamo sprofondando, mentre le altre nazioni chiudevano le frontiere, lasciandoci soli nell’emergenza. C’è ancora umanità? Dove sta l’amore per il prossimo? Siamo tutti bravi, ma solo a condannare.
Piera
Il fenomeno dell’immigrazione non può essere scaricato sulle spalle di quelli che, per posizione geografica, si trovano a ridosso dei Paesi da cui fuggono tanti disperati. Così è per l’Italia, al centro del Mediterraneo, a poca distanza dalle coste nordafricane. Hai ragione, cara Piera, a richiamare la responsabilità dell’Europa per una politica comune verso gli stranieri. Ma ciò non ci dispensa né ci giustifica se violiamo le leggi internazionali. Certo, ci vuole umanità e amore per il prossimo. Ma dov’erano questi sentimenti quando, in nome delle nostre leggi (votate anche dai parlamentari cattolici), respingevamo in blocco i profughi, rimandandoli nelle prigioni libiche a subire torture o a morire? Il rispetto delle convenzioni internazionali sui rifugiati politici viene ancora prima del coinvolgimento dell’Europa per una politica comune sui flussi migratori.
Pubblicato il 14 marzo 2012 - Commenti (9)
09 mar
Leggo sempre Famiglia Cristiana: la considero una rivista molto istruttiva. Le voglio dire il mio pensiero sulle Olimpiadi di Roma, anche se il Governo ha rinunciato alla candidatura. Nella situazione economica in cui ci troviamo, cioè a un passo dalla bancarotta, pensare di spendere milioni di euro per costruire stadi e palazzetti era una vera follia. Soprattutto in un Paese dove regnano sovrani corruzione, disonestà e mancanza totale del senso dello Stato. Le Olimpiadi avrebbero arricchito solo tanti disonesti, che non vedevano l’ora di sfruttare l’occasione. C’è bisogno di fare pulizia nelle istituzioni. E buttare fuori corrotti e disonesti. Soltanto allora, forse, si potrà riparlare di Olimpiadi.
Sandro
Dispiacerà, ma un Paese può fare a meno delle Olimpiadi. Soprattutto se la richiesta di ospitare i giochi è preludio di insaziabili appetiti per la costruzione di impianti che, poi, restano inutilizzati o abbandonati. Come cattedrali nel deserto. Quasi per tutti i Paesi le Olimpiadi non sono stati un grande affare. Se non di immagine. Anzi, il tracollo della Grecia è cominciato subito dopo i giochi olimpici. Oggi, l’Italia che fatica a mettere i conti in ordine, ha fatto bene a rinunciare. Vista la dilagante corruzione che ancora impera nel Paese (“Mani pulite”, a distanza di vent’anni, è servita a ben poco), i giochi sarebbero stati non il volano dell’economia, come sostenevano i fautori, ma un ulteriore sperpero di denaro pubblico. I costi, senz’altro, sarebbero lievitati al di là di ogni ottimistica previsione. Come, purtroppo, è sempre successo. La nostra scarsa affidabilità ha penalizzato lo sport e gli atleti che s’erano spesi per le Olimpiadi.
Pubblicato il 09 marzo 2012 - Commenti (0)
07 mar
La Chiesa ci ricorda sempre che bisogna «dare a Dio quel che è di
Dio e a Cesare quel che è di Cesare». Evadere le tasse è peccato. È
contro il sesto comandamento: «Non rubare». D’accordo, ma la Rai
non è Cesare! E quel tributo che ci chiede, cioè il canone televisivo,
non mi pare giustificato dal servizio pubblico che ci offre. La Rai
è solo preoccupata di foraggiare, coi nostri soldi, volgarità e
“telepredicatori” dell’ultima ora. Mi auguro che lo sproloquio cui ho
assistito a Sanremo sia davvero l’ultimo. Intanto, il canone io non
l’ho pagato. Ho rubato? Ho fatto peccato? Don Antonio, se vuole mi
assolva... ma io non mi pento.
Cataldo da Taranto
Ho quarantacinque anni, non sono bigotta e neanche una santa.
Fino a un anno fa, trovavo giusto pagare il canone Rai. Ma dopo
il Festival di Sanremo sono schifata. Siamo arrivati al peggio.
Stendiamo un pietoso velo sull’esibizione di Celentano all’Ariston,
ma anche sulle tante volgarità e parolacce dei comici. Vorrei
proporle una campagna per non pagare più il canone della Tv.
La Rai meriterebbe davvero una simile protesta!
Michela G.
Due no secchi a queste lettere. Non posso assolvere Cataldo dal non
aver pagato il canone Rai. Tanto meno dare seguito alla proposta di Michela
per una campagna contro il canone della Tv. Le tasse vanno sempre
pagate. Su questo non può esserci alcun cedimento, né giustificazioni
per gli evasori. È il contributo che ciascuno deve dare in vista del bene comune
e di servizi necessari ai cittadini, soprattutto per i meno abbienti.
Più che un obbligo, è una questione di giustizia sociale. Detto ciò, però, il
peso del fisco dev’essere equo. Oggi, il divario tra il salario degli impiegati
e i superstipendi di manager pubblici è davvero scandaloso. La media
degli stipendi italiani è la più bassa tra i Paesi europei (Grecia inclusa),
mentre le retribuzioni dei burocrati sono le più alte al mondo. Credo sia
giusto battersi perché le tasse siano più eque e perché gravino maggiormente
sui più ricchi. A questi un maggior prelievo non cambia la vita, ai
poveri sì. E, soprattutto, i cittadini devono essere più vigili e severi nel controllo
dell’uso che si fa dei soldi pubblici. Spesso, sono lesinati alle famiglie
con figli, ma poi si sprecano in privilegi, favoritismi, false consulenze,
festival sanremesi delle parolacce e volgarità, programmi insulsi e dispendiosi
delle reti pubbliche... Ci vuole più rigore, a ogni livello.
Pubblicato il 07 marzo 2012 - Commenti (16)
05 mar
Su quasi tutti i mass
media abbiamo letto
che la Chiesa, finalmente,
pagherà l’Imu. Giustizia
è stata fatta, hanno detto
in molti. Non so che
risposte dare alle accuse.
Mi pare che ci sia un attacco ideologico alla
Chiesa, al di là della
verità dei fatti. E i radicali
sono in prima fila.
Dimenticano, però,
il contributo pubblico che
prendono per la radio.
Quasi dieci milioni di
euro, mentre si lesinano
i soldi ad altre emittenti
private, di cui molte
cattoliche. A che titolo
questo contributo per
i radicali? Forse perché,
talora, si sono venduti
l’anima al precedente
governo?
Un lettore
Autorevoli giornali e apprezzati
giornalisti hanno
contribuito ad alimentare
nell’opinione pubblica
un’autentica “bufala”: la
Chiesa, finalmente, pagherà
l’Imu sui propri immobili.
Ma la Chiesa ha sempre
pagato le tasse su tutte le
attività commerciali! Nessuno,
con un minimo di onestà
intellettuale, può affermare
il contrario. Era esentata,
come tanti altri organismi
ed enti laici, solo per
le attività solidali ed educative.
Le polemiche e gli attacchi
finiti sui giornali, alimentati
soprattutto dai radicali,
riguardavano situazioni
“miste” (culto e commercio),
su cui ora s’è fatta
chiarezza. La Chiesa, anzi,
ha invitato a procedere nei
casi ove la legge è stata violata.
Ci aspetteremmo altrettanta
chiarezza in altre
istituzioni.
Pubblicato il 05 marzo 2012 - Commenti (2)
01 mar
In questo momento della mia vita, ho perso la bussola che mi conduce a Dio. Ma la mia “fame” di Cristo si fa sempre più acuta. Nonostante abbia avuto una buona educazione familiare e frequentato una scuola religiosa, la mia fede è sempre stata superficiale. Diciassette anni fa, sono rimasta sconvolta dalla perdita del mio unico fratello, che amavo tantissimo. In parrocchia avevo trovato conforto in un giovane parroco, che era diventato una guida non solo per me ma per tutto il quartiere della parrocchia. Col suo entusiasmo, la sua vitalità e il suo amore per Cristo, era riuscito a creare ciò che nessuno, in quarant’anni, aveva mai saputo fare. Poi, all’improvviso, ci è stato strappato e trasferito in un’altra parrocchia. «Per volere di Dio», ci è stato detto. Abbiamo sofferto. E anche lottato per trattenerlo, ma la Chiesa è rimasta sorda ai nostri appelli. Ora, mi ritrovo persa. E come me tanti altri. So che bisogna guardare a Dio e non all’uomo. Sbaglio se mi ritrovo a rimpiangerlo?
Maddalena
La vita, anche quella della parrocchia, porta spesso a cambiamenti e a distacchi, talora dolorosi. Ma vivere di rimpianti o risentimenti, non aiuta a crescere e star bene. Un parroco mette in conto che il suo vescovo possa chiedergli di cambiare sede o di svolgere un altro servizio nella Chiesa. Non si tratta di rimozioni, tanto meno di punizioni. Almeno in situazioni normali. Il “volere di Dio” non sempre è comprensibile nell’immediato. Né facile da accettare. Ma certi distacchi, oggi, sono più facilmente colmabili. Ci sono più possibilità di comunicazione, anche a distanza. Ammesso, appunto, che questo sia il vero problema.
Pubblicato il 01 marzo 2012 - Commenti (6)
28 feb
Èla prima volta che scrivo a Famiglia Cristiana. Non mi aspetto soluzioni, ma devo esternarle il mio stato d’animo che, in questo momento, mi fa star male. Ho aspettato per troppo tempo che mia figlia avesse un lavoro. Le ho dato la possibilità di studiare e laurearsi, con eccellenti risultati. Ha un curriculum invidiabile per titoli e referenze. Eppure, le porte le si chiudono in faccia. Non trova lavoro. L’ultima delusione è di qualche giorno fa. A quarant’anni si ha l’esigenza di essere indipendenti dai genitori e non di vivere a carico loro. So che tante giovani si offrono come merce in cambio di un lavoro. Sarà triste, ma non ci sono alternative. Purtroppo, bisogna vivere. E vivere vuol dire avere i soldi per mangiare e pagare l’affitto. A che serve essere onesti in un mondo di corrotti? Anche la fede in Dio vacilla. Certo, ci sono situazioni peggiori, ma è duro vedere mia figlia depressa e senza speranza, dopo l’ennesimo rifiuto. Non so più come aiutarla. Ho solo voglia di gridare la mia rabbia contro questo mondo di furbi e disonesti.
Luciana
La rabbia è cattiva consigliera, anche se non mancano le ragioni per gridare al mondo la propria delusione. E per imprecare contro un mondo di furbi, corrotti e disonesti che fanno terra bruciata attorno ai sogni di chi, dopo anni di impegno e studi, trova solo porte serrate alle richieste di lavoro. Invidiare, però, le scorciatoie che altre persone praticano, con disinvoltura e senza remore morali, mettendo in dubbio la propria fede in Dio, non è la via da seguire. Anche se vedere la propria figlia quarantenne andare in depressione, nonostante le tante qualità, può sembrare il fallimento di una mamma. Ma così non è, non c’è da colpevolizzarsi. Le responsabilità vanno cercate altrove.
Pubblicato il 28 febbraio 2012 - Commenti (4)
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