Don Sciortino

di Don Sciortino

Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.

 
13
giu

L'Italia non è solo quella del pallone

Non appena si è diffusa la notizia degli arresti di calciatori, il pensiero dei tifosi è andato alla Nazionale e agli Europei di calcio. Solo dopo si è pensato a quanta corruzione gira attorno a questo sport nazionale. E ai milioni di euro che circolano per le partite truccate. Ben venga, quindi, la proposta del presidente Monti di sospendere il calcio per due o tre anni. Provocazione che ha scatenato lo sdegno degli addetti ai lavori. Non so per quanto tempo ancora il tifoso vorrà farsi prendere in giro da questi personaggi che non sanno dove stanno di casa i valori sportivi come la lealtà, il sacrificio e la sana competizione. Tutti i soldi che girano nel calcio dovrebbero essere dirottati in aiuto alle popolazioni terremotate. Non è demagogia. È voglia di stabilire quali sono le priorità nel Paese. L’Italia non è solo quella del pallone.

ANTONIO

Ho condiviso le parole del presidente Monti. Il mondo del calcio ha bisogno di una forte scossa per ripulirsi del marciume che si nasconde sotto la nobile coltre dello sport. Non è questione che riguarda qualche “mela marcia”. Né si tratta di episodio sporadico. È un brutto andazzo che si trascina da anni. Difficile da sradicare. Né si può assolvere il malcostume, rifugiandosi nei ricorsi storici. Ai due mondiali vinti subito dopo lo scoppio del calcio scommesse. È una questione di giustizia, soprattutto nei confronti dei tifosi ingannati e traditi. Quelli che si svenano per sostenere i propri campioni. In casa e in trasferta. E qualcuno, ogni tanto, ci lascia pure la pelle per infarto da “tifo calcistico”. «Fa rabbrividire», ha detto Monti, «quando un mondo che dovrebbe essere l’espressione dei valori più alti (lo sport, i giovani, la lealtà, la competizione) si dimostra un concentrato di aspetti tra i più riprovevoli della vita umana: la slealtà, l’illegalità, il falso, la ricerca demagogica della popolarità». Si può essere grandi campioni, ma piccoli uomini. L’avidità del denaro non ha limiti. Anche per chi è stato baciato dalla fortuna. E guadagna milioni di euro all’anno per due pedate o una parata.

Pubblicato il 13 giugno 2012 - Commenti (2)
07
giu

La polvere sulle vesti della Chiesa

Caro Santo Padre,

leggo dai giornali le vicende che coinvolgono la Santa Sede in questioni non proprio esaltanti. Dalla periferia è difficile sapere quale sia la verità. Anche perché l’informazione non sempre è corretta e disinteressata. L’impressione, comunque, è brutta. Emerge un’immagine di Chiesa intrigante, con persone non limpide, come non ci si aspetterebbe da uomini di fede. Il pensiero è andato subito a te, chiamato a guidare la Chiesa in un momento particolarmente difficile. La scristianizzazione dell’Occidente, l’incertezza dei cuori, le difficoltà economiche fanno vivere un periodo confuso e disorientato. Hai usato espressioni miti, in recenti richiami («il vento che soffia sulla Chiesa», «il linguaggio di Babele»), che fanno però immaginare la tristezza e il dolore che stai vivendo. Desidero portarti conforto, a nome della fede nel Signore che tutti professiamo. Insieme ai cristiani anche noi, parroci di campagna, ti siamo vicini. Ed esprimiamo tutto l’affetto e la comprensione per il momento delicato. Il popolo di Dio ha fiducia in te e nella tua opera. La Chiesa ha attraversato gravi momenti di prova e di persecuzione. Il momento presente è più difficile. La crisi colpisce anche dall’interno: non dai nemici della Chiesa, ma da suoi cristiani sleali. Forse, è arrivato il momento di una revisione strutturale dell’organizzazione ecclesiastica, ancora troppo legata a schemi storici trascorsi e non più adeguati all’evoluzione della vita nel mondo. Gli effetti sono il permanere di funzioni che dovrebbero essere affidate alle Chiese locali, recidendo sul nascere le tentazioni del potere e delle manipolazioni. Caro Santo Padre, la grazia di Dio ti assista e ti conforti: rimaniamo fedeli al Signore e preghiamo per te. Il Signore non ti farà mancare la grazia necessaria per guidare la sua Chiesa. Con affetto grande».

Don Vinicio - parroco di campagna

Caro don Antonio,

sono un cattolico praticante e sono tramortito da quanto leggo, in questi tempi, sulla bufera abbattutasi sul Vaticano. Cardinali che tramano, altri che vengono allontanati, altri che raccomandano amici per cariche pubbliche. E poi c’è chi frequenta salotti mondani. O partecipa a cene con politici potenti. Nel frattempo, il presidente dello Ior è fatto fuori. Vicende che rattristano il Papa. Ma non era meglio nel passato. Dentro e fuori le mura vaticane. All’ex ministro Maroni è stata assegnata una delle più alte onorificenze della Chiesa, che si dà solo a chi ha condotto vita esemplare e reso importanti servigi alla Chiesa. C’è pure chi s’è dato da fare perché il successore del cardinale Dionigi Tettamanzi a Milano desse forti segnali di discontinuità col passato. E non fosse ostile a una parte politica. Ai politici si chiede di essere trasparenti, ma all’interno della gerarchia si moltiplicano le trame per successioni improbabili. In qualche movimento ecclesiale, persone votate alla povertà, castità e obbedienza fanno vacanze da sogno. Con lussuosi yacht a disposizione. E cene e pranzi pagati “a loro insaputa”. Vivono nel lusso, mentre il Paese è travolto da una crisi profonda. A Milano, poi, un sacerdote si avventura in imprese folli legate a un ospedale. Ha creato, sì, una struttura sanitaria d’eccellenza, ma ha seminato debiti in miliardi di euro. E acquisito ville per sé e i suoi amici. Con un jet privato che lo portasse di qua e di là nel mondo. Soldi, tanti soldi. E potere, tanto potere. E mai una parola di rimprovero da parte della gerarchia. Noi, poveri credenti, che dobbiamo pensare e fare? Per quanto mi riguarda, continuerò a frequentare la Messa e i sacramenti. Confesso, però, che faccio fatica a credere in questa gerarchia. Ma, in fondo, la Chiesa non siamo tutti noi?

Paolo G.

Due lettere dal tenore diverso. La prima, colma di affetto per il Papa, rattristato dalla bufera che si è scatenata in Vaticano. E che ha coinvolto le persone a lui più vicine. L’altra, più critica, elenca una serie di scandali e perplessità, dentro e fuori le mura vaticane. Con grande sconcerto e smarrimento dei credenti. Entrambi gli scritti sollecitano verità e trasparenza. Più pulizia e una testimonianza di vita aderente al Vangelo. La Chiesa, come più volte ricordato, è “santa” per sua natura. Ma fatta da uomini, con i loro pregi e difetti. A ogni livello. La storia ci insegna che il cammino di due millenni di cristianesimo è lastricato, oltre che di martiri e testimoni, anche di errori e peccati. Di cui chiedere perdono. Come ha fatto Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del Duemila.

L’altro giorno, interrogato sulle vicende dei “corvi” in Vaticano, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, ha detto: «La Chiesa non è una realtà che decolla dal mondo verso cieli mitici e mistici. È una realtà che è impiantata nel terreno. E, qualche volta, il terreno è anche fango. E impolvera le vesti». Alla luce delle vicende di questi giorni, sono quanto mai profetiche le parole che, nel Venerdì santo del 2005, l’allora cardinale Ratzinger scrisse a commento della Via Crucis: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui. Quanta superbia, quanta autosufficienza». E, rivolgendosi al Signore, aggiungeva: «Spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare. Una barca che fa acqua da tutte le parti. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Abbi pietà della tua Chiesa. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi».

Non giova nascondere o minimizzare il momento di tristezza e confusione che avvolge, oggi, la “barca di Pietro”. C’è necessità di “prendere il largo”. Con una nuova classe di traghettatori che, sulla scia del Vaticano II, abbiano più coraggio. Per dare alla Chiesa e al mondo una nuova primavera. Una ventata di ottimismo e speranza, di cui c’è tanto bisogno. Ma l’enfasi (o accanimento) che qualche giornale riserva alle vicende vaticane è sospetta. Chiesa non è solo gerarchia, ma tutto il “popolo di Dio”: clero e fedeli laici. Con la stessa dignità e missione. Una ricchezza di “doni ecarismi”. Fino alla persecuzione e al martirio, come avviene in tante nazioni del mondo. Anche se ciò non fa notizia e non interessa i mass media. A un giornalismo “ammalato” di gossip e sensazionalismo, quattro “corvi” romani interessano più di un evento mondiale come il Family 2012 a Milano. O di un milione di persone che, nel parco di Bresso, si sono strette attorno al Papa, con affetto e fedeltà. E l’hanno applaudito a lungo, a conclusione della Messa, presenti anche il presidente del Consiglio Mario Monti e diversi ministri del Governo.

Nel corso dei secoli, la “barca di Pietro” è stata sballottata da onde alte e pericolose. A chi pensa di poterla affondare, come un tempo Napoleone, va ricordata la fulminante risposta che il segretario di Pio VII, cardinale Consalvi, diede all’imperatore: «Maestà, in tanti secoli, non ci sono riusciti nemmeno i preti!».

Pubblicato il 07 giugno 2012 - Commenti (16)
06
giu

I sogni spezzati di Melissa

Caro don Antonio,

ho appena finito di leggere l’articolo “I sogni spezzati di Melissa” di Roberto Zichittella (FC n. 22/2012). E subito mi è venuto il desiderio di scriverle per ringraziare il giornalista e lei che lo ha pubblicato. Come avrà capito, sono di Mesagne, in provincia di Brindisi. Lavoro in una scuola dell’infanzia e sono impegnata in parrocchia come responsabile dell’Azione cattolica. Sono nata e continuo a vivere in questa piccola città. Per me molto bella, anche se spesso “oltraggiata” dai mass media. Però, è sempre la mia città. Anzi, la nostra città. L’articolo del suo giornalista spiega molto bene qual è la realtà in cui viviamo. Non c’è bisogno di aggiungere altro.

Ribadisco solo (e con forza) che è vero che ci sono “semi di male”. Come ovunque. Ma ci sono anche tantissimi “semi di bene”. Anche se non fanno “rumore” o notizia.

Avrei voluto che chi ha parlato della nostra Mesagne senza conoscerne veramente la realtà, fosse stato presente il giorno dei funerali di Melissa. La città si è fermata per tutto il tempo. Avvolta nel silenzio. Tutti noi mesagnesi eravamo “insieme e uniti” sul piazzale della chiesa madre. A piangere e pregare per Melissa e i suoi genitori. E per le altre ragazze ricoverate in ospedale per le ferite riportate.

I nostri giovani e quelli delle città vicine, tutti dalla faccia pulita e con grandi sogni, erano assieme a noi adulti a condividere quei momenti di commozione. È stato davvero consolante toccare, quasi con mano, come l’intera Puglia fosse vicina a noi.

I giovani, sì, erano tristi. Ma da loro sprizzava la voglia di andare avanti. Senza paura. A difesa della legalità. Ho visto nei loro volti il desiderio di una vera libertà. Una libertà che hanno espresso in quei palloncini bianchi, con il nome di Melissa, che hanno lasciato andare in alto. Nel cielo azzurro, verso il sole. Un grazie anche a tutti gli italiani che, in vari modi, ci hanno manifestato la loro vicinanza. Voglio dire alla nostra bellissima e martoriata Italia: «Coraggio, preghiamo perché chi ha commesso il male, si converta e viva». E andiamo avanti con la certezza che il bene vincerà. Se ciascuno di noi saprà dare il proprio contributo. Anche se piccolo.

Anna Rita - Mesagne (Brindisi)

«Non si uccide così una bambina».

In questa espressione di una mamma di Mesagne, riportata dal nostro giornalista Zichittella nel suo servizio, è racchiusa la reazione, dolente e rabbiosa, di tutti i mesagnesi. “Brindisi piange” c’era scritto su un lenzuolo. Ma il pianto è corale.


Melissa resterà nel ricordo e nel cuore di tutti. Mai una scuola era stata aggredita con tanta spietatezza. Follia inaudita. Inaccettabile. «Che sia terrorismo, mafia o il gesto di un folle», ha detto don Luigi Ciotti, «in ogni caso c’era la volontà di uccidere. Si tratta di assassini che hanno studiato e calcolato di ammazzare gli studenti».


 Ma “i sogni spezzati di Melissa”, assieme alle ferite delle sue compagne, hanno suscitato unanime sdegno. Non solo tra gli studenti, che hanno sfidato i barbari assassini: «E adesso ammazzateci tutti». E anche: «Saremo sempre uno in più di voi». Ma anche i concittadini di Melissa hanno reagito con orgoglio. “Insieme e uniti”. Nel silenzio della commozione e della preghiera, al momento dei funerali.

Una risposta impensabile, forse, fino a qualche anno fa. Soprattutto in una città indicata come il “cuore” e la culla della Sacra corona unita. Al pari di Corleone per Cosa nostra. I “semi di bene” e gli anticorpi hanno cominciato a germogliare, contro criminalità, intimidazioni ed estorsioni. La società civile ha reagito.

A Mesagne, nel giorno della strage, era in arrivo la Carovana antimafia di don Ciotti. Qui, in tutta la Puglia, Libera gestisce i beni confiscati ai mafiosi della Sacra Corona Unita. Alimenta la cultura della legalità. E dei diritti, che non sono favori. C’è stata una reazione più corale e organizzata. Al di là dell’emozione e dell’indignazione. Normale dopo la strage. Un passo oltre la rassegnazione omertosa.


Dopo Melissa, nulla sarà più come prima. Non si può tornare a scuola come se nulla fosse successo. E non solo a Mesagne. Mafia e malavita organizzata si vincono con la cultura. Più che con le Forze dell’ordine, che pur devono vigilare e intervenire. La scuola è presidio di democrazia. Educa alla legalità. Fa terra bruciata attorno all’illegalità. Ed è quel che più teme la mafia, che cerca nuove leve tra i giovani.

I ragazzi di Mesagne hanno intrapreso un cammino. E don Luigi Ciotti andava a confermarli nel loro impegno. Nel frattempo, c’è stata la bomba. «Ho visto la devastazione dell’esplosione. Si voleva fare una strage», ha detto il fondatore di Libera, recandosi alla scuola. «Mi sono chinato sui libri e i quaderni accartocciati e bruciacchiati. Ne ho sfogliato qualcuno. Vi ho trovato appunti che parlavano della Costituzione, di educazione alla legalità, dei diritti di cittadinanza».

Ora, ancor più dopo Mesagne, la speranza del Paese sta nelle nuove generazioni. Se sapranno assumersi, fino in fondo, le proprie responsabilità. Come ha invitato a fare il presidente Giorgio Napolitano, nella commemorazione di Falcone, a vent’anni dalla morte: «Completate con impegno la vostra formazione, il vostro apprendistato civile e scendete al più presto in campo». Sono certo che questi ragazzi non deluderanno il presidente. Anche nel nome di Melissa.

D.A.

Pubblicato il 06 giugno 2012 - Commenti (0)
30
mag

La vera ricchezza? I figli

Mi sono decisa a scriverle dopo aver letto la lettera di Ivana e Umberto (FC n. 20/2012). Anch’io sono cresciuta con Famiglia Cristiana. Confesso che, per ragioni economiche, mi era balenata l’idea di rinunciarci. Ma mi sono resa conto che non potrei farlo. La nostra rivista è l’unico “lusso” che mi permetto. Da tempo sono abituata a tirare la cinghia. Ma anche nei momenti di difficoltà, aiuto gli altri. Ora, purtroppo, ho perso il lavoro. Così anche i miei figli. Può immaginare come si vive. La pensione di mio marito è spalmata su quattro famiglie. Sono orgogliosa di aver dato al mondo quattro meravigliosi ragazzi. Chi ha rubato il loro futuro? Mi appello ai politici, prima che sia troppo tardi: «Salvate i giovani. Rinunciate ai vostri privilegi». Qualcuno non ci crederà, ma non ho mai mangiato un’aragosta in vita mia. Ma non ne sento la mancanza.

Rosa Maria C.

Quanta dignità nella tua lettera, cara Rosa Maria. Nelle tue condizioni, altri si sarebbero disperati. Tu, invece, riesci a mantenere una compostezza e una serenità che non si improvvisano. Sei come la “donna saggia” della Bibbia. Pur nelle ristrettezze e nelle difficoltà, sai gestire bene la casa e i tuoi cari. Soprattutto i figli, per i quali invochi un lavoro. E un’attenzione particolare da parte dei politici. Non chiedi privilegi o favori. Ma quel che è necessario per vivere e crescere i figli. E ci fai capire, con orgoglio, quel che molti fingono di non voler intendere. Che la vera ricchezza non sono i soldi, ma i figli. Vale per la famiglia. E, ancor più, per la società e il Paese. Purché le istituzioni ne prendano coscienza. Con concrete politiche familiari.

Pubblicato il 30 maggio 2012 - Commenti (12)
28
mag

La "casta" cala la maschera

Da un Tg della sera vengo a sapere che i nostri parlamentari, come un sol uomo, si sono opposti a tagliarsi i loro stipendi e privilegi. Finalmente! Sì, finalmente! Era ora che mostrassero la loro vera faccia. E facessero capire ai cittadini che se sono in Parlamento è solo per riempirsi le tasche di soldi! Dopo aver messo le mani nelle nostre tasche. Del bene e del futuro del Paese non gliene importa un bel niente. Ci sta bene, a noi “pecoroni”, che non ci siamo ribellati di fronte a tante “porcate”, limitandoci solo a blande dimostrazioni. Se fossero ancora vivi i giovani che nel ’43-44 si sono dati alla macchia e hanno organizzato la Resistenza, le cose andrebbero meglio. La “casta” ci ha portati sull’orlo del fallimento. Sarebbe giusto che pagassero per la loro irresponsabilità. “Chi rompe paga”, non fa pagare gli altri. Cari giovani, svegliatevi! È in gioco il vostro futuro. Un brutto giorno sarete alla fame.


“Catullo”, ex partigiano

Quanta fatica da parte della “casta” a rivedere privilegi e compensi spropositati! Il buon senso, quello di un buon padre di famiglia in un momento di difficoltà, non fa breccia nella loro mente. Non capiscono che, per primi, devono dare il buon esempio. Altrimenti, non sono credibili nel chiedere sacrifici agli altri. La loro insensibilità è direttamente proporzionale al calo di consensi che hanno nella società. L’unico loro riferimento è il Palazzo. Non conoscono più il mondo esterno, che li punirà.

Pubblicato il 28 maggio 2012 - Commenti (9)
24
mag

Quel boss sepolto in chiesa

Le scrivo perché non riesco a darmi una risposta. Per l’ennesima volta, parlando della scomparsa di Emanuela Orlandi, giornali e Tg hanno fatto riferimento a De Pedis, il boss della Magliana, sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare a Roma.
Ma come è stato possibile? Come può la Chiesa aver accettato che un malavitoso fosse sepolto dentro le proprie mura? Sapendo chi vi è sepolto, io non metterei piede in quella basilica. Sapevo che nelle chiese trovano giusta sepoltura santi, martiri e pontefici. Non i delinquenti. La casa del Signore è un luogo di culto, non riesco a capire come abbiano potuto dare quel permesso. Mentre c’è divieto assoluto di dare l’Eucaristia ai divorziati risposati. Più ci penso, più resto amareggiata.

Maria Cristina C.

Non mischiamo, cara Cristina, vicende ben diverse. Certo, come te, tutti si sono chiesti come sia stata possibile dare sepoltura in una chiesa a un noto malavitoso, come il boss della Magliana. E ogni risposta era davvero stonata. Non basta dire che “Renatino” era un “benefattore” e faceva opere di bene. Tanti altri “benefattori” non hanno trovato posto per una sepoltura in chiesa.
Se è difficile rispondere su quanto è avvenuto in passato, c’è solo da augurarsi che ci sia più trasparenza oggi. Come sta facendo l’autorità ecclesiale, con la massima collaborazione per allontanare ombre, sospetti e insinuazioni su una vicenda torbida, collegata anche alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Chi sa, è bene che parli. Per amore della Chiesa e del Vangelo. Solo la verità ci renderà liberi.

Pubblicato il 24 maggio 2012 - Commenti (23)
23
mag

Metodo Boffo e stile Celentano

Caro don Sciortino, mi permetto di disturbarla perché mio papà è sempre stato un suo affezionato lettore. Ora lo è ancor di più. Anzi è diventato un suo fan. Legge con passione i suoi articoli, li sottolinea e ce li mostra con orgoglio. Ha una grande ammirazione per la schiettezza e il coraggio con cui dice come stanno le cose. A tutti riporta le opinioni del settimanale. Le fa una propaganda sfegatata. E invita tutti a comprare Famiglia Cristiana. Soprattutto per gli articoli di don Sciortino.

Non passa giorno che mio papà non parli di lei. E quando ieri ha sentito l’attacco che il Tg 5 ha fatto a Famiglia Cristiana c’è rimasto molto male. Si è amareggiato. Ha detto: «Si vede che qualcuno non vuole sentire le verità di don Sciortino. Spero che il Direttore non molli e non si lasci intimorire da tanta ipocrisia».

Mi scusi per il disturbo. Ma volevo ringraziarla, di cuore, per i suoi scritti. E per tutto ciò che riesce a trasmettere a mio padre e a tutti noi. Un’ultima nota di “colore”: quando per problemi postali la rivista tarda ad arrivare, mio padre non si dà pace. Tempesta tutti di telefonate. E sono guai per l’Ufficio postale. Ora, dopo che ha saputo dalla sua segreteria che lei gli ha mandato un “ricordino”, controlla a vista ogni piccolo furgone che passa per strada. E non si allontana di casa per paura che il corriere non lo trovi e faccia un viaggio a vuoto.

Flavia - Cremona

La tua lettera, cara Flavia, mi commuove. E un po’ mi imbarazza. Avere lettori come tuo papà è straordinario. Ti confesso, però, che sono tanti. E le loro manifestazioni di affetto mi ripagano dell’amarezza per qualche attacco subìto. Come quello del Tg 5: una vera rappresaglia per un nostro servizio su Mediaset. Pazienza se nella foga della ritorsione si è manipolata la verità. L’importante era farci arrivare l’avvertimento minaccioso a stare bene attenti alle critiche. Il “metodo Boffo” impera. Affiancato, di recente, dallo “stile Celentano”. Il “re degli ignoranti” si era pure spinto a chiedere la chiusura della stampa cattolica. Ma se certi attacchi sono da mettere in conto, fa più male quando a colpire è il “fuoco amico”.

Pubblicato il 23 maggio 2012 - Commenti (1)
16
mag

Se il comico fa il politico

L’Italia sta attraversando un severo periodo di povertà e debolezza. Sul piano politico, economico e sociale. Mai come in questo momento così difficile, dovremmo sventolare il tricolore dalle nostre finestre. Così come avviene durante i campionati mondiali di calcio. Non è stato l’euro a impoverirci, tanto meno l’Imu. Paghiamo, invece, per una politica che non è mai stata indirizzata al bene della collettività. In Italia i comici dovrebbero fare i comici. Lo stesso dicasi dei politici. Non viceversa. La povertà che più dovrebbe farci paura, non è la mancanza dei soldi. Ma l’assenza di valori, cooperazione, solidarietà e creatività. Dobbiamo temere il consumismo, che ci spinge a produrre di più per poi spendere ancor di più. Altrimenti, tutto il sistema va in crisi.

Marcello R.

Hai ragione: ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere. Quello per il quale ha studiato e si è preparato professionalmente. Purtroppo, così non è. Tutti sono bravi a dire quel che devono fare gli altri. Nessuno che si preoccupi di sé stesso. Così come nessuno si assume le proprie responsabilità. Lo “scaricabarile” è ormai sport nazionale. Se in materie lievi è quasi un passatempo, come le chiacchiere da bar, diventa un dramma su questioni più serie. Come il governo di un Paese, che richiede più serietà e responsabilità. Ma anche un rigore morale e uno spessore etico, merce rarissima di questi tempi.

Pubblicato il 16 maggio 2012 - Commenti (31)
14
mag

La crisi dell'uomo e la crisi di Dio

Troppo spesso, soprattutto qui nel Nordest, assistiamo a suicidi per la crisi. Qualcosa di inquietante. La vergogna, le difficoltà, i creditori che ti assalgono, le tasse sempre più alte, le notti insonni... tutto sembra andare in frantumi. C’è chi perde il controllo e non trova altra uscita se non nella morte. Ma io temo che ci sia anche una mancanza di fede in Dio e di fiducia nella famiglia. Chi si toglie la vita crede davvero di aiutare così i propri figli? Un tempo si sentiva parlare di fede, speranza e carità. I nostri padri hanno affrontato tante difficoltà, ma ce l’hanno fatta. Con dignità. Forse, oggi, dovremmo avere uno stile di vita più sobrio e solidale. E ricordarci di chi non riesce a mettere insieme pranzo e cena.

Annamaria

Estromettere Dio dal mondo non rende il mondo migliore. Una società senza valori è destinata a sfaldarsi. Senza solide radici, la pianta è soggetta a soccombere alle intemperie. Come avviene, oggi, per la grave crisi che s’è abbattuta su cittadini e famiglie. Chi non regge al peso o alla vergogna di una vita di lavoro che sfuma nell’impossibilità di una ripresa o di un rilancio, sceglie vie senza ritorno. E non per colpe personali, ma per le difficoltà economiche che li strozzano. La crisi ci sta cambiando. Nel bene e nel male. Sarà un’opportunità se sapremo rivedere i nostri stili di vita. Verso una maggiore sobrietà e solidarietà. Le difficoltà si superano non isolandosi o rinchiudendosi in sé stessi, ma cercando assieme come uscire dal tunnel verso la luce. Purtroppo, oggi, stanno venendo meno tante reti di protezione.

Pubblicato il 14 maggio 2012 - Commenti (0)
10
mag

Troppi soldi nei programmi Tv

Ieri sera, ho visto una trasmissione Tv a quiz. Dopo il brillante finale dei due concorrenti, mi sono sentita amareggiata. Sono contenta per loro, che sono due bravi ragazzi. Ma perché tutti quei soldi in palio? Io e mio marito abbiamo insieme una pensione di mille euro al mese. Nostro figlio, laureato da due anni, vive ancora con noi. Tutti i giorni, fa tre ore di macchina per andare a lavorare, per 800 euro al mese. Ma se pensiamo a tanti nostri amici e conoscenti senza lavoro, anche nella ricca Brianza, ci riteniamo fortunati. Ma quelle cifre in Tv ci offendono. Con i tempi che corrono, non basta come giustificazione dire che quella è una Tv privata e dei propri soldi può farne quel che vuole!

Elisa

Che cosa non si fa per l’audience! Montagne di soldi in premio, ormai, imperversano in tutti i programmi Tv. Per premiare banali risposte, scontate o suggerite dai presentatori o dal pubblico. Non è un buon apporto alla crescita della cultura. Semmai, si illudono le persone. Quasi che partecipare ai quiz fosse la strada migliore per fare soldi. Non è certo un bell’esempio per tanti giovani che si sacrificano e si impegnano nello studio. Purtroppo, la corsa ai quiz con ricchi premi ha invaso anche la Tv pubblica.

Pubblicato il 10 maggio 2012 - Commenti (8)
09
mag

Quando gli amici tradiscono

Non è da molto che leggo Famiglia Cristiana. Ma da quando l’ho scoperta mi ci sono affezionata. Trovo nelle sue lettere una risposta a tanti miei perché. Ho quattro figli e un marito meraviglioso. Frequentiamo spesso la parrocchia e facciamo volontariato. Ci siamo creati una bella compagnia di amici e passiamo insieme molte domeniche. Spesso aiutiamo famiglie bisognose sia con cose materiali sia con un sostegno morale, ove necessario. Fino a poco tempo fa, seppur tra tanti sacrifici, la mia era una vita serena. Purtroppo, nel giro di due anni mi è crollato il mondo addosso. In breve tempo, la mia famiglia è stata colpita da tre lutti: mia madre e due miei giovanissimi fratelli. Tutto preceduto da una terribile malattia. Per stare vicina ai miei cari, in quel periodo mi sono allontanata dai figli e da mio marito. Loro hanno capito e mi hanno sostenuto. Così non è stato, invece, da parte degli amici e della parrocchia. Non una visita né una telefonata. Sono profondamente delusa. Ma come, aiutiamo gli stranieri a integrarsi e poi non ci accorgiamo del vicino di panca? Come spiegare questo comportamento ai miei figli? Ho sempre parlato loro di condivisione, soprattutto nel dolore. E non solo nelle belle mangiate e chiacchierate.

S.G. - mamma quarantenne

I veri amici si scoprono nel momento del bisogno. Il dolore è la cartina di tornasole che mette a nudo verità e sincerità di tanti rapporti. Anche familiari. È triste assistere al dileguarsi di amici e parenti, quando una presenza o una buona parola sono la migliore medicina per chi, gravemente provato da malattie, si sente mancare gli affetti più cari. Non ci sono ragioni, sia pure in sé valide, a giustificare questi gravi peccati di omissione. “Pietà” e “compassione” verso chi è più debole devono prevalere su impegni, occupazioni. E anche rancori familiari. Per non dire che “visitare gli ammalati” è una di quelle opere di misericordia su cui, noi cristiani, saremo giudicati. Come ci dice il Vangelo.

Pubblicato il 09 maggio 2012 - Commenti (2)
02
mag

Quando la crisi uccide

Ho cinquantotto anni e sono un cattolico praticante da sempre. Ho appena finito di leggere la notizia che, in appena quattro mesi e mezzo, ben ventitré imprenditori si sono tolti la vita per disperazione. Una buona percentuale sono del ricco Nordest. Dati agghiaccianti. Di fronte a una simile situazione, perché la Chiesa, che è chiamata a difendere i più poveri e le persone in difficoltà, non alza nemmeno un dito? Perché resta impassibile di fronte all’abuso di potere di chi ci governa? Ce l’ho anche con quei politici cattolici che vanno a Messa e poi, tranquillamente, pensano solo ai loro affari e interessi privati. Hanno una bella faccia tosta! Sto perdendo fiducia in questa Chiesa poco credibile, che non prende posizioni forti. D’altronde, le chiese sono sempre più vuote e calano anche i cattolici praticanti.

Giovanni - Verona

“Padova, strangolato dai debiti impresario edile si uccide”; “Non riesce a pagare gli stipendi, imprenditore si uccide”; “Gli affari vanno a picco, si uccide il titolare di un minimarket”... Ogni giorno, sono queste le notizie che fanno capolino, con più frequenza, sui giornali. Una vera escalation, che non può lasciare indifferenti, ma deve scuotere le coscienze di tutti. Lo Stato così sollecito nell’incassare i soldi dei cittadini, con qualche eccesso di intimidazione per i più deboli, è sordo ai reclami di imprenditori che falliscono, anche perché lo Stato non paga. La Chiesa è in prima linea, con Caritas e parrocchie, in aiuto a famiglie e lavoratori in difficoltà. E si sprecano gli appelli solidali. Non ultimo quello del cardinale Scola, per una maggiore attenzione «al prolungarsi della crisi, con le sue drammatiche ricadute».

Pubblicato il 02 maggio 2012 - Commenti (23)
01
mag

Il calcio e i violenti

Paradossale. Sono passati pochi giorni dal rinvio dei campionati di calcio per rispetto della morte in campo di Piermario Morosini e promuovere una giornata di riflessione sui valori dello sport, e subito è successo qualcosa di incredibile. A Genova un gruppetto di tifosi fanatici ha costretto i giocatori del Genoa Calcio a togliersi la maglia. Una cosa fuori dalla realtà. Di questo passo, a comandare saranno quei soliti noti più qualche infiltrato, che potrebbero sostituirsi all’arbitro. Secondo me, nessun giocatore doveva accettare il ricatto. È stata sprecata un’occasione importante per dire no alle sfide degli ultrà.

Fabio S. - Bergamo

Un’altra occasione mancata nel mondo del calcio. Come tante, ormai. A ripetizione. Come il dilagare degli scandali del calcio scommesse. Ma quello che è avvenuto a Genova è ancor più grave. È la “resa del pallone” ai voleri di una banda di violenti. Non chiamiamoli tifosi. Però, quando si ammaina bandiera o ci si toglie la maglia con i colori della propria squadra, perché così ordinano gli ultrà, si è davvero persa ogni dignità. Vista la mancanza di coraggio di giocatori e dirigenti, come prossima mossa, aspettiamoci la richiesta che i giocatori si levino anche i calzoncini. Ma in mutande il calcio lo è già da tempo, sebbene sia lo sport nazionale cui tutto si concede e perdona. Per mancanza di lealtà e rispetto delle regole.

Pubblicato il 01 maggio 2012 - Commenti (0)
26
apr

I soldi dei partiti e quelli delle famiglie

Sono d’accordo con il presidente della Repubblica nel definire indegni dell’Italia evasori e speculatori. Ma, ancor più indegni, sono i politici corrotti che hanno tradito la fiducia dei cittadini. Piuttosto che dedicarsi al risanamento del Paese, si sono occupati solo dei propri affari, appropriandosi di soldi pubblici per pagarsi case, auto, diplomi, lauree... Politici che hanno contribuito, in maniera determinante, al declino dell’Italia. Eppure, non si vergognano. Anzi, continuano a restare al loro posto. E a condizionare l’operato di quei “tecnici” che, tra mille ostacoli, stanno tentando l’ultima carta per non far scivolare l’Italia nel baratro. Che cosa dobbiamo aspettarci? Dobbiamo temere il ritorno degli stessi politici, corrotti e indegni?

Silvano B. - Cuneo

A mio parere, i partiti non possono incassare i rimborsi elettorali già previsti. Quei soldi sono risorse sottratte alle famiglie. Gli sperperi e la corruzione che, in continuazione, vengono a galla sono una provocazione continua nei confronti di lavoratori e pensionati, cui abbiamo chiesto tanti sacrifici. Faccio parte della Caritas parrocchiale e, mi creda, ogni giorno incontriamo tanta disperazione. Gridiamolo forte in tutte le piazze, e con tutti i mezzi: «Quei soldi si devono restituire alle famiglie»!

Silvia A. - Lecco

A qualche politico, che pensa di rifarsi la verginità, dopo anni di permanenza al governo in ruoli di primissimo piano, e dichiara di non voler ritirare a luglio i soldi dei rimborsi elettorali, bisognerebbe ricordare che restituisce semplicemente ciò che non gli sarebbe mai spettato. Se una legge “truffa” non avesse aggirato la volontà degli italiani, che si erano opposti al finanziamento pubblico dei partiti. Ora, a scandali in corso, tutti fanno le “verginelle”. Pensano di darla a bere ai cittadini con i loro buoni propositi di trasparenza e controllo sull’uso dei soldi pubblici ai partiti. Purtroppo, non hanno più credibilità. Ogni giorno, è sempre peggio per ruberie e scandali che vengono a galla. Senza un radicale segnale di ravvedimento e di rinnovamento, questi partiti rischiano la morte. Non per colpa dell’antipolitica e del populismo. Che pur ci guazzano. Ma per responsabilità proprie. Per eccesso di ingordigia di risorse pubbliche. Anche in tempi grami, come quelli attuali.

Pubblicato il 26 aprile 2012 - Commenti (13)
25
apr

Morosini: la morte in campo

Tutto fa spettacolo. Soprattutto la morte di un calciatore venticinquenne. Sabato scorso, mentre giocava, si è spento un giovane centrocampista del Livorno. La spettacolarizzazione della morte è stata una sorta di esorcismo globale. Eppure, ogni giorno, migliaia di bambini muoiono di sete e di fame. Un vero dramma. C’è, forse, una morte che sia “meno morte” di altre? Non sarebbe stato meglio, anche nei confronti di Pierpaolo Morosini, essere un po’ più sobri? Non tutto deve fare spettacolo. La vita non può essere svenduta, a beneficio dei mass media.

Mario

Sono rammaricato di come qualche telegiornale ha dato la notizia della morte del giocatore Morosini. I giornalisti hanno mancato di rispetto a lui e ai suoi cari. Ormai, in Tv ci stiamo abituando a tutto. Non c’è più pudore né rispetto per la sofferenza o per la morte. Morosini, prima d’essere un calciatore, è un uomo. Non è giusto aver mostrato, con insistenza e morbosità, primi piani del giocatore morente. Con l’obiettivo della telecamera a scrutare ogni minimo particolare di questo dramma. Non si può sbattere in faccia al pubblico la morte in diretta, per ragioni di audience. È una gravissima mancanza di etica. E di rispetto della dignità umana.

Francesco B. - Aquila

Come non condividere queste osservazioni, così umane e rispettose della dignità della persona e dello sfortunato calciatore Pierpaolo Morosini? La vita sembra essersi accanita su di lui. La situazione familiare non gli ha risparmiato sofferenze, lutti e tragedie. Ma anche la sua morte improvvisa su un campo di calcio non è stata esente da polemiche e speculazioni. Non solo per la tempestività dei soccorsi, ma soprattutto per la strumentalizzazione mediatica che ne hanno fatto i mass media. Quando la tragedia e la morte sono spettacolarizzate, per ragioni di audience, non possiamo più parlare di informazione o diritto di cronaca. È solo bieco cinismo, di cui vergognarsi. Dal calciatore Morosini, invece, ci viene una lezione di dignità per come è vissuto, riuscendo a non soccombere alle dure prove della vita.

Pubblicato il 25 aprile 2012 - Commenti (1)
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